Tour de France Femmes / Storia di Annemiek, una marziana in mezzo a noi

Annemiek Van Vleuten
Annemiek Van Vleuten in maglia gialla sulla Planche des Belles Filles con le sue rivali (foto: A.S.O./Boukla)
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Ha riscritto la storia del suo sport, ma non solo quella. Annemiek Van Vleuten ha gli occhi chiari che luccicano e una parola per tutti, prima di mettersi in primissimo piano davanti alla telecamera per salutare la sua mamma. Annemiek sorride, stringe le mani, dice grazie a tutti. E’ il suo stile, il suo modo di stare al mondo. «E’ un sogno che diventa realtà. Non è stata una settimana facile, e neanche un giornata facile. Ma finire qui, in maglia gialla, da sola, è perfetto. Questa maglia resterà per sempre. Spero che sia soltanto un grande inizio per il ciclismo femminile, è pazzesco essere la prima, adesso posso godermela. Adesso posso fare festa, senza pensare al domani».

Annemiek immagina imprese che soltanto i fuoriclasse hanno dentro, e le realizza. Quando la mattina prima della partenza dice: «Mi sono svegliata nervosa, sono eccitata, non vedo l’ora di correre», siete liberi di temere il peggio, o il meglio, fate voi. Anche i colori non sono più gli stessi dopo che è passata lei. Il rosa non le piaceva, per esempio. «E’ un colore sdolcinato, no? Però al Giro è bellissimo». Il giallo non lo aveva mai preso in considerazione. «Mi sembrava un colore da maschi. Però quando ho visto Marianne in maglia gialla ho pensato che invece è stupendo». Ed è andata a prenderselo. Ha voluto anche l’ultima tappa, il trionfo sullo sterrato della Super Planche des Belles Filles, in maglia gialla.

E adesso vuole la tripletta: Giro, Tour e Vuelta nello stesso anno. Come solo una marziana, una di un altro pianeta. Soltanto lei. Il suo direttore sportivo alla Movistar, Sebastián Unzué, figlio di cotanto padre, l’ha definita «una bestia»: dopo averla vista soffrire nei primi giorni del Tour, neanche lui che la conosce bene riusciva a pensare di vederla stravolgere la corsa così.

Annemiek compirà quarant’anni in ottobre ma il suo sguardo va molto oltre quella data. «Quando attorno a me parlano della mia età come di un limite, mi sembra che parlino di qualcuno che non conosco. Non è un problema per me l’età che ho». Ha già annunciato che il 2023 sarà il suo ultimo anno da professionista, ma c’è un motivo preciso. «Mi piace l’idea di smettere al top».

Prima però vuole rovesciare tutto: albi d’oro, record, statistiche. In modo che chi verrà dopo debba confrontarsi con qualcosa di altissimo, se no che gusto c’è. «Per le altre so di essere un ostacolo, ma gli ostacoli si superano». Lei ha sempre fatto così, da quando è arrivata (tardi) a correre in bicicletta. Prima andava a cavallo, giocava a calcio e studiava all’università. «Mi piacevano le feste fino a tardi, bevendo birra e mangiando quello che volevo».

Dopo la tesi in epidemiologia, ha cominciato a lavorare in ufficio, ma seduta in una stanza tutta la giornata non era vita. «Sapere com’è la vita normale, mi fa apprezzare di più la mia». Ha scoperto il ciclismo dopo due menischi saltati. Le dissero che poteva fare soltanto due cose: nuotare e andare in bici. Nuotare però le sembrò troppo noioso. «Il ciclismo ti fa stare all’aria aperta con altre persone, mi è piaciuto subito». Era il 2007, e in fretta si capì che aveva un talento smisurato.

E’ diventata professionista, ma intanto la vita andava per la sua strada, e non è mai facile stare al passo. Tre interventi chirurgici fra il 2009 e il 2013 per le arterie iliache ostruite. La morte del padre di cancro. Mille volte Annemiek è caduta, e ogni volta è tornata più forte. A Rio 2016 stava correndo verso l’oro: a dodici chilometri dal traguardo cadde dopo una curva. Si pensò al peggio: la misero in terapia intensiva, aveva una commozione cerebrale, tre vertebre rotte, un disastro. Quattro settimane più tardi vinse il Giro del Belgio. Idem dopo la frattura alla gamba ai Mondiali di Innsbruck. Un polso fratturato le portò via il Giro 2020: otto giorni dopo corse il Mondiale a Imola, argento. Prima donna a conquistare la vetta dell’Izoard, nel 2017, prima a domare lo Zoncolan nel 2018. Prima, prima, sempre prima.

Quando vinse il Mondiale nello Yorkshire il suo peso fece molto discutere. «Non posso mantenerlo per più di un paio di settimane, amo mangiare, non mi interessa essere magra per vincere. L’anoressia è un problema nello sport, e nel ciclismo. Non nel ciclismo femminile: nel ciclismo. Se vedi un ciclista magro pensi che si è preparato bene. Se vedi Annemiek magra, è anoressica. C’è qualcosa che non va in questo». Si allena da sola, spesso con gli uomini. «Non sono abituata a pensare a me come a una ciclista donna. Quando corro sono un ciclista professionista, e basta».

E’ stata a lungo in Colombia con Esteban Chaves, ha fatto un tour in bici dal Portogallo alla Spagna assieme ai gemelli Yates. Nella «sua» Livigno scala lo Stelvio, spesso assieme a Tom Dumoulin. Anche fra il Giro vinto e il Tour dominato ha scelto le nostre Alpi. Il solito hotel, l’Interalpen al passo del Foscagno, i bagni nell’acqua ghiacciata, gli amici di sempre. «Spero di essere un esempio per le altre, ma per come mi godo la vita». Fra dieci anni si immagina fare sport, «spero di vedere molte più persone che useranno la bici per andare al lavoro. E molte più ragazze in bici. Ci incontreremo, ci prenderemo un caffè, parleremo del passato ma soprattutto del futuro».