Tour de France 2022 / Torna l’Alpe d’Huez, “battezzata” da Coppi. Negli anni Novanta era un feudo azzurro

Fausto Coppi, in una foto d'archivio, sull'Alpe d'Huez al Tour de France 1952
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La prima volta fu nel 1952 e il battesimo fu celebrato da Fausto Coppi. A metà della salita, il Campionissimo piombò sul piccolo “Testa di Vetro” Robic, lasciandolo poco dopo per volare solitario al traguardo e ipotecare la sua seconda vittoria al Tour de France. L’epopea dell’Alpe d’Huez, che nella tappa di oggi il Tour de France 2022 propone per la trentunesima volta dopo una pausa di quattro anni, non poteva cominciare meglio. Subito dopo l’arrivo, però, scoppiò il caos: il piccolo centro, conosciuto fino ad allora solo come stazione sciistica, era del tutto inadeguato ad ospitare una carovana già imponente come quella del Tour e i disagi furono notevoli, specie per i giornalisti al seguito: «Non riusciamo a immaginare chi mai abbia ispirato gli organizzatori a portare il Giro di Francia quassù – scrisse sul Corriere della Sera un indignato Orio Vergani, nobile penna prestata al ciclismo – per imporre ai corridori una sfacchinata storica, per far rompere le balestre e i differenziali alle automobili, e per costringere i giornalisti ad iniziare con un’ora di ritardo il loro lavoro, dopo averli costretti a non piacevoli saggi alpinistici attraverso le praterie».

Doppiette di Bugno e Pantani. Guerini, che rischio!

Probabilmente anche per questo dell’Alpe d’Huez non si sentì più parlare fino al Tour del 1976. Da allora, però, i suoi 21 tornanti (ognuno dei quali dedicato a uno o più vincitori) sono diventati un culto, rafforzato dal fatto che la vetta è sempre località di arrivo. Sull’Alpe d’Huez, insomma, non si transita: o si vince o si perde. E vincere riempie una carriera. Unica eccezione, nel 2013, quando fu previsto un primo passaggio in vetta prima della scalata finale.

Negli anni Settanta-Ottanta l’Alpe d’Huez fu definita come la Dutch Mountain, perché vincevano quasi sempre gli olandesi: due volte Zoetemelk, Kuiper e Winnen, poi, più tardi, i “gemelli” Rooks e Theunisse. Poi però, negli anni Novanta, diventò una montagna azzurra, con due successi di Bugno, due di Pantani, uno di Roberto Conti e uno di Giuseppe Guerini.

Proprio Guerini nel 1999 rischiò grossissimo quando, a un passo dal trionfo, si scontrò con uno spettatore che, in mezzo alla strada, aveva deciso di scattare la foto della vita. Con Tonkov che arrivava da dietro, la vittoria sembrò sfumata, ma Guerini fu rapidissimo a rimontare in bici e ad arrivare da solo.

Sull’Alpe si vince quasi sempre in solitudine: torna oggi al Tour de France 2022

La vittoria in solitudine è peraltro quasi una regola sull’Alpe d’Huez, anche perché l’ascesa di 14 chilometri, già durissima di suo (pendenza media 8%, punte al 14%) si affronta di solito dopo “antipasti” molto severi. Sta di fatto che, in trenta edizioni, soltanto cinque volte la tappa si è conclusa con volate a ranghi ristretti. Una volta ebbe la meglio Zoetemelk nel 1976 (contro Van Impe); in due occasioni toccò a Bugno (nel 1990 contro Lemond, l’anno dopo su Indurain); una volta a Thomas, che nel 2018 ha battuto Dumoulin, Bardet, Froome e Landa.

Infine, ci sarebbe la vittoria di Hinault sul Lemond nel 1986, ma in quella occasione non ci fu volata: i due, compagni di squadra, si presero per mano celebrando la fine della guerra intestina che avevano combattuto nei giorni precedenti: il vecchio Hinault si prese la tappa e consegnò lo scettro del Tour al giovane americano.

Solo, solissimo arrivò Marco Pantani: sia nel 1995, quando partì con la benedizione di Indurain (che si guardava bene dal seguirne gli scatti) risucchiando uno a uno i fuggitivi di giornata; sia nel 1997, quando mollò prima Virenque e poi la maglia gialla Ullrich. Del Pirata è anche il record di ascesa, secondo i tempi presi a 13,8 chilometri dal traguardo, dove inizia la salita: 36’50 nel 1995 e 36’55” due anni dopo. Ma questa non è certo una sorpresa.