GIRO D’ITALIA U23 / Bartoli sta con Cassani: «Una tappa dura non rovina i giovani. Devono imparare, come a scuola»

Bartoli
Michele Bartoli in una foto d'archivio
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«Sono dalla parte di Cassani». Michele Bartoli non è mai stato diplomatico, e non è mai tenero con la gestione dei giovani. La questione sollevata dall’ex ct azzurro, che Bicisport ha aperto a una discussione allargata con i ct presenti al Giro Under 23, interessa molto anche l’ex campione toscano, che adesso nel suo centro di eccellenza prepara molti corridori di primo piano del circuito World Tour. Nessuno meglio di Michele sa che tutto nasce molto prima di passare professionisti. «Quando sento dire che i dilettanti vanno preservati, che devono arrivare integri al professionismo, torno indietro nel tempo. Si diceva anche quando correvo io. Però dobbiamo intenderci. Cosa vuol dire integri?».

Ottimo punto di partenza. Cosa vuol dire integri? «Non credo che la gente capisca cosa intendiamo. Di sicuro non è un discorso di fatica: qualsiasi sforzo fisico tu possa aver fatto, basta una cena, una buona dormita e una bella colazione e hai già recuperato. Non c’è niente che un ragazzo di diciannove, venti, ventun anni non possa fare. Ovviamente ci sono dei limiti, non puoi fare cinquemila metri di dislivello tutti i giorni, non avrebbe senso, ma non credo che due tappe dure in un Giro possano disturbare nessuno».

Non è quello che sostengono alcuni dei direttori sportivi impegnati al Giro Under. «Quando diciamo integri la fatica non c’entra: è lo stress mentale che ti rovina, quello che in Italia imponiamo ai giovani, con questa fissazione di fare risultato a tutti i costi in tutte le categorie, e se non si vince è un dramma. Anche in gare facili. Come dico sempre, vogliono che vinci anche a Poggio alla Cavalla, un circuito piatto che tra l’altro ho vinto anch’io. Se lo fai con lo stress ti fa male anche Poggio alla Cavalla, non puoi avere costantemente il peso della responsabilità».

Bartoli dunque divide fatiche fisiche e stress mentale: due mondi opposti. «Un Giro duro non ti rovina, anzi. Un ragazzo lo rovini giorno dopo giorno facendogli fare allenamenti stressanti, magari anche in questo periodo, con il caldo eccssivo. Mi capita di sentire tecnici che si lamentano perché i ragazzi in inverno si allenano solo tre ore al giorno: ma cosa devono fare? Escono da scuola, mangiano, vanno fuori in bici alle due e alle cinque è già buio, dovrebbero allenarsi sette ore? In Toscana si lamentano perché anche le Continental vengono alle corse, ma ben vengano, se i ragazzi si confrontano da subito si ingegnano, si fanno scaltri, imparano a correre tatticamente. Io dovevo correre contro vecchie volpi come Manzi, Piccini, Brugna: per batterli ho dovuto imparare in un battere di ciglia, e infatti quando sono passato ho vinto la mia seconda corsa, al Giro di Sicilia».

Per Michele Bartoli non sono dunque le tappe dure a dare fastidio ai giovani. «Al liceo devi studiare tanto, giusto? Perché? Per imparare. Nel ciclismo è lo stesso. E gli stranieri lo fanno, noi no. Ma cosa pensiamo? Che se corriamo in pianura vengono fuori più corridori? Noi andiamo al bar sport il lunedì mattina e dobbiamo raccontare che la nostra squadra ha vinto questo e quello. Allora meglio se la corsa è piatta, se serve solo a pavoneggiarsi al bar».