AMARCORD/104 Cunego, “viaggio della speranza” in Texas. Ma la cronometro per lui è rimasta una croce

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Sveglio, reattivo, duttile; capace di pianificare la corsa, ma anche di improvvisare l’azione decisiva. Per essere ritenuto un grande corridore, Damiano Cunego aveva tutto. Peccato che nelle grandi corse a tappe partisse ad handicap, per una cronica difficoltà nelle prove contro il tempo.

Perfino nel Giro 2004, che vinse a soli ventidue anni, smise temporaneamente la maglia rosa dopo una batosta subita nella crono di Trieste, per sua fortuna l’unica nel tracciato, a parte il breve cronoprologo di Genova.

La sua allergia al cronometro fu ancora più chiara al Giro di due anni dopo, anche perché l’uomo più in forma, Ivan Basso, contro il tempo andava più che bene. Alla crono di Pontedera, 50 chilometri, Cunego si presentò con un ritardo in classifica accettabile (1’48”) ma già preparato al peggio: «Spero di non ritrovarmi a più di cinque minuti».

In realtà, dopo la prova rimbalzò a 7 minuti da Basso, e il quarto posto finale fu il massimo a cui poté ambire. Situazione analoga qualche settimana dopo al Tour de France, dove un buon rendimento (sfiorò il successo all’Alpe d’Huez) fu penalizzato ancora una volta dalle cronometro.

Cunego: dopo i test nella galleria del vento i risultati migliorarono

Così, finita la stagione, se ne andò in Texas a lavorare nella galleria del vento, per ottimizzare la posizione in bici e trovare la massima aerodinamicità. Una missione finita sulla copertina di Bicisport, a mo’ di auspicio, nel numero finale del 2006.

Nel corso dei mesi successivi, i benefici della “cura” texana risultarono evidenti: al Giro d’Italia, concluso in quinta piazza, Cunego fu quarto nel prologo, nono nella cronoscalata al Santuario di Oropa e dodicesimo nella prova da Bardolino a Verona, dove in 43 chilometri rese soltanto un paio di minuti al vincitore di giornata Savoldelli.

Negli anni successivi, riuscì anche a ottenere qualche discreto piazzamento alle spalle degli specialisti, sia al Giro che al Tour. Ma l’orologio per il “Piccolo Principe” rimase molto più croce che delizia.