De Gendt non vuole morire per fare sport: «Scioccato dal caso Colbrelli»

Thomas De Gendt in azione all'UAE Tour 2021 (foto: Fabio Ferrari/LaPresse)
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«Dal chilometro zero si vede già chi è motivato». Thomas De Gendt è il fuggitivo per eccellenza: parte un gruppetto di attaccanti e nove volte su dieci lui c’è. A tre giorni dalla partenza del sesto Giro d’Italia della sua carriera, il belga della Lotto Soudal che vive in una sorta di venerazione per la fuga, come se essere avanguardista per tutto il giorno fosse già una vittoria, torna a parlare dei diversi malori in gruppo tra i quali anche quello di Sonny Colbrelli. De Gendt non vuole morire per fare sport, per correre in bicicletta ed è rimasto scioccato dagli ultimi casi allarmanti tra i suoi colleghi. E con l’età ha maturato l’idea che non valga la pena rischiare troppo. Approfondiamo il tema e le parole del corridore arrivato terzo al Giro del 2012, su quibicisport.

Thomas De Gendt non vuole morire per fare sport: «Quando sei giovane non pensi che una stupida caduta possa farti morire»

Intervistato da Humo, l'”attaccante” della Lotto Soudal che ama farsi inseguire invece di inseguire gli altri, vivendo perennemente in un cambio di prospettiva interessante, ha acceso i riflettori sui numerosi kappaò nei mesi recenti e anche sui suoi problemi fisici tra Covid, bronchite e fastidi intestinali: «La bronchite in particolare mi ha fatto crollare. Dopo due giorni di gara al Giro di Catalogna ho iniziato a sentirmi sempre peggio. Una specie di sonaglio sui polmoni durante l’espirazione. Ho avuto la febbre e quindi mi sono dovuto ritirare».

E sulla Parigi-Nizza, ecco le impressioni del 35enne belga: «Alla Parigi-Nizza si è ammalato praticamente tutto il gruppo dei corridori. Chiunque abbia contratto il Coronavirus ha perso di conseguenza il dieci percento della capacità polmonare: non lo notano le persone normali, ma per un atleta fa molta differenza. Se vai avanti e ti colpisce il cuore, la tua carriera è finita. Guardate Tim Declercq e poi quando è successo a Colbrelli, mi sono spaventato molto, sì».

Infine De Gendt si lascia andare a un pensiero profondo e che fa riflettere sul tenore di vita e sui pericoli che affrontano i ciclisti: «Quando sei giovane, non ti rendi conto come una stupida caduta possa ucciderti. Ma dopo quattordici anni nel mondo del professionismo, ho visto morire così tanti corridori che sono molto consapevole del pericolo. Non importa quanto provo a tenerlo lontano mentre sono in bici, continua a scorrermi nella testa. Non voglio morire nel mio sport».