Parsani: «Sono tornato alla Corratec per i giovani, ma puntiamo a diventare Professional»

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Serge Parsani con i suoi ragazzi del Team Corratec (foto: Jorge Riera)
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Da ormai tre anni Serge Parsani s’era defilato. Aveva vissuto nel mondo del ciclismo praticamente per mezzo secolo: prima come talento, vincitore tra i dilettanti nel 1972 del Trofeo Piva; poi da professionista, sempre con la Bianchi dal 1974 al 1983 con una tappa al Tour nel 1979 e una al Giro nel 1981; e infine, passato dall’altra parte della barricata, nello staff di grandi squadre come Gewiss, MG, Asics, Mapei, Quick-Step, Katusha e dal 2012 al 2018 con Citracca e Scinto. Sentiva d’aver dato tutto, d’aver fatto il fattibile, di aver chiuso in pareggio il bilancio.

«Poi, al Lombardia dello scorso anno, mi contattano quelli della Corratec. Avevano pensato a me per lanciare una Professional. Io ero frastornato: il loro interesse mi faceva piacere, certo, ma io ad agosto compio 70 anni e in quel momento avevo più dubbi che certezze».

Riguardo a cosa, Serge?

«Tra me e me pensavo: ma chi me lo fa fare? Insomma, non vorrei parlare per luoghi comuni, ma è sufficiente guardarsi intorno: l’incertezza e la paura legate alla pandemia, come se non bastasse adesso c’è pura la guerra che incombe. Per non parlare delle difficoltà che ci sono nell’allestire una squadra così tardi».

Alla fine, nonostante tutto, hai accettato. Perché?

«Ho avuto bisogno di qualche giorno per rifletterci. Senz’altro la possibilità di lavorare coi giovani è stata decisiva. Ormai ho più passato che futuro, la memoria e l’esperienza non mi mancano, e quindi ho pensato che potesse essere bello mettere il mio piccolo patrimonio a loro disposizione».

Quali difficoltà hai incontrato da team manager?

«Inizialmente credevamo di poter rientrare ancora tra le Professional. Ci eravamo già mossi con la fideiussione, poi l’Uci ha bloccato tutto: ormai era troppo tardi. Così abbiamo optato per una continental, incontrando dei vincoli particolari: il 50% dell’organico composto da Under 23, non più di due ex professionisti. Insomma, abbiamo dovuto ricalibrare le nostre ambizioni».

A chi avevate pensato in un primo momento?

«Non voglio fare troppi nomi. Ci sarebbe piaciuto Coati, ad esempio, ma come ho spiegato non potevamo ingaggiare chi volevamo. Oltre a questo, abbiamo dovuto prendere atto del fatto che a novembre, quando l’Uci ci ha detto che per la Professional era tardi, sono pochi i corridori senza una sistemazione per l’anno successivo».

Nell’organico e nello staff figurano diversi volti della Vini Zabù, l’ambiente di Scinto e Citracca che si è sciolto lo scorso anno. E Corratec forniva loro le bici.

«Una realtà che conoscevo bene, visto che ne ho fatto parte fino al 2018. Sicuramente conoscerci ha influito. Allo stesso tempo, visto che non c’era tempo da perdere, io sono stato il primo ad andare a cercare delle figure conosciute e affidabili: Francesco Frassi, ad esempio, il direttore sportivo di riferimento. E ultimamente si è aggiunto Marco Zamparella, almeno siamo coperti in caso di giornate con la doppia attività. Ho fatto altrettanto col parco auto, contattando un caro amico svizzero che ci ha dato una mano fondamentale».

Insomma, Serge, nonostante le difficoltà e il poco tempo a disposizione avete messo in piedi un progetto credibile: grazie soprattuto a Rajovic sono arrivate subito tre vittorie alla Vuelta al Tachira, al Tour of Antalya e al Porec Trophy.

«Rajovic è il nostro corridore più importante: ha 24 anni e il biennio trascorso alla Delko gli ha permesso di partecipare ad alcune corse prestigiose come Parigi-Nizza, Scheldeprijs, Parigi-Tours e la Roubaix dello scorso anno, anche se non l’ha portata a termine. Essendo veloce può garantirci dei buoni risultati. L’altro ex professionista, invece, è Stojnic: anche lui con la Vini Zabù ha potuto prendere parte a gare come Uae Tour e Tirreno-Adriatico, accumulando una certa esperienza. Ha compiuto 23 anni a febbraio, può migliorare ancora tanto».

Importante anche il gruppo degli elite: Baldaccini, Gandin, Masotto, Murgano.

«Sì, quattro ragazzi di valore che daranno il massimo per strappare un contratto tra i professionisti. Per noi allestire una continental vuol dire proprio questo: mettere insieme un organico completo e misto, fatto di atleti più esperti e di altri più giovani, da far competere a buoni livelli. Abbiamo già corso parecchio all’estero e continueremo a farlo. Alla Coppi e Bartali, per dire, c’erano tre Under 23: Marziale, Olivero e Amella».

Però non sarete al Giro d’Italia Under 23: come mai?

«E’ stata una scelta nostra. Sono il primo a rendermi conto che non abbiamo un gruppo di ragazzi complessivamente all’altezza, intendo anche numericamente. Iscrivere la squadra e rimanere con un paio di corridori dopo appena qualche giorno di gara non mi sembra giusto nei confronti di nessuno: né dei giovani, che non imparano niente, né degli sponsor, che ne risentirebbero a livello d’immagine».

E’ stato difficile spiegarlo ai ragazzi?

«Come ho detto prima, il progetto è ambizioso ma essendo partiti in autunno ci siamo anche dovuti accontentare. Noi per primi avremmo desiderato un blocco di Under 23 più numeroso e più forte. I ragazzi sono stati comprensivi, hanno capito i motivi che ci hanno portato a prendere questa decisione e sono consapevoli del fatto che comunque le opportunità per crescere e mettersi in mostra non mancheranno».

Chi, tra i più giovani, ti ha colpito maggiormente?

«Fino ad ora Amella, un ragazzo siciliano che si è ben comportato nelle prime uscite stagionali. Non è male nemmeno Olivero, colpito purtroppo da una tragedia non molti mesi fa: ha perso il fratello in un incidente stradale. Marziale, che in salita sa il fatto suo, tuttavia è ancora molto acerbo».

Quali obiettivi vi siete posti?

«Intanto Corratec non ha assolutamente abbandonato l’idea di entrare tra le Professional, quindi potrebbe riprovarci già quest’anno. Io coi ragazzi sono stato chiaro: i risultati regalano felicità e prospettive, ma loro non devono essere disposti a tutto pur di ottenerli. Su questo non transigo. La vittoria va perseguita perché questo è lo sport, ma senza scorciatoie. Difficilmente un successo cambia la vita a qualcuno, mentre una furbata rischia di lasciare a piedi decine di persone. Questi sono i patti. La Corratec, ma a ben pensarci anche la prima squadra che un corridore può trovare tra i professionisti, non è il punto d’arrivo. Chi comprende questo è sulla buona strada per capire se il ciclismo può diventare il suo lavoro o meno».