AMARCORD/96 Omaggio a Gino Bartali, che racconta: «Nel 1935 mi fermarono sulla via di Sanremo: ero troppo sconosciuto»

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Dicembre 1977: Bicisport, in edicola da un anno e mezzo, esce con un numero dedicato a Gino Bartali. Un omaggio sentito e quasi doveroso, visto che nel dicembre precedente era stato fatto lo stesso con Fausto Coppi, il suo grande rivale. La differenza è che il “timone” della rivista può prevedere anche un incontro con il campione, allora sessantatreenne.

A rileggerla oggi, l’intervista di un giovane Mario Sconcerti non ha perso un’oncia di brillantezza. La verve polemica e la memoria di Bartali compongono quadri d’autore, come quello che lo vede ancora sconosciuto prendere il via alla Milano-Sanremo del 1935.

Correva con la Frejus, ma non aveva nemmeno il nome della squadra sulla maglia. «Parto anonimo e solo come un profugo», racconta Gino, che sulle rampe del Turchino perse terreno dai migliori. Lungo la discesa trovò un pezzo grossissimo, Learco Guerra, reduce da una caduta. Bartali, gregario di Martano, che era davanti, può solo mettersi a ruota. «Guerra rimane un po’ sulle sue, poi si volta e mi chiede chi ero. Sono Bartali, gli dico, si ricorda?».

«E Guerra mi disse: mettiti a ruota, riprendiamo tutti»

Si erano incontrati l’anno prima, alla punzonatura del Giro di Toscana. Bartali era andato a chiedere l’autografo a Binda, il suo idolo, ma il campione lo aveva letteralmente mandato al diavolo. Invece Guerra non solo gli fece l’autografo, ma gli disse di tornare il giorno dopo per una foto. «Tornai, pensavo si fosse dimenticato tutto e invece era lì che mi aspettava. Da quel giorno diventai il suo più grande tifoso. Così io gli dico sono Bartali e lui si ricorda. Vieni qui, mi dice, mettiti a ruota che adesso li riprendiamo. Andava davvero come una locomotiva. Poco dopo eravamo con gli altri».

Arrivò il Berta, che allora faceva paura, e Bartali si ritrovò in testa da solo. «A quindici chilometri da Sanremo ho 21 anni e 2 minuti di vantaggio». D’un tratto, però, gli si mise davanti una macchina dell’organizzazione. Dal tetto spuntò Emilio Colombo, direttore della Gazzetta dello Sport, che cominciò a fargli domande: chi sei? da dove vieni? quanti anni hai? Gino rispose ma per due, tre volte fu costretto a frenare per non finire contro l’auto. Fu ripreso e battuto: quarto, dopo Olmo, Guerra e Cipriani.

Colombo me lo confessò anni dopo: mi fece perdere

«Capisco tutto. Colombo mi si era messo davanti apposta per farmi rallentare e riprendere, ma per me parlare con lui era troppo importante. Un suo articolo voleva dire sistemarmi, farmi trovare la squadra. Qualche anno dopo fu lui stesso a confermarmelo. Sai perché ti feci riprendere? mi disse. Perché non avevi un nome sulla maglia, perché non ci avevi scritto niente. Non potevamo far arrivare sul traguardo della Sanremo uno che non si sapeva nemmeno chi fosse. Scusa».

Nel numero, altre chicche: Binda che racconta a Mario Fossati come gestiva Bartali e Coppi da selezionatore azzurro; Magni che, intervistato da Gianni Mura, mescola l’ammirazione al rimprovero per l’addio di Ginettaccio al Tour del 1950, dopo l’aggressione subita a St. Gaudens. Tutta la squadra lo seguì per solidarietà, anche Magni che indossava la maglia gialla, e non l’ha mai mandata giù.