AMARCORD/91 Basso-Nibali, una leadership per due. Ma Cipollini non ha dubbi: «È l’ora dello Squalo»

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In quell’inizio di 2012 se ne parlava parecchio. Del resto, il passaggio di consegne tra il leader anziano e il campione emergente è sempre stato un tema ciclistico stimolante, vedi, fra i tanti, i casi di Hinault-Lemond, Chiappucci-Pantani, WigginsFroome, per non parlare dell’esplosione del giovane Coppi nella Legnano di Bartali. Il rapporto tra Ivan Basso e Vincenzo Nibali rientrava a pieno titolo nella casistica: stessa squadra (la Liquigas), stessi obiettivi (Giro e Tour), sette anni di differenza.

E se Basso, trentaquattrenne, nella stagione precedente aveva dato qualche segno di usura, Nibali sembrava ormai pronto al definitivo salto di qualità.

Stimolato da Bicisport, Mario Cipollini, ormai da anni un ex ma sempre molto presente in carovana, risolse la questione alla sua maniera, tagliandola di netto: «Basso è stato un campione, ma ora il leader deve essere Nibali». Una scelta di campo drastica, legittimata però dagli eventi successivi. Dal canto suo, lo staff tecnico della Liquigas trovò una soluzione dividendo gli obiettivi, come spiegò il team manager Roberto Amadio: «Il percorso del Giro è adatto a Ivan, quello del Tour può essere meglio interpretato da Vincenzo».

A fine stagione il “divorzio”: Nibali sceglie l’Astana

Basso provò in effetti a vincere il suo terzo Giro d’Italia, ma sulle ultime montagne si ritrovò in riserva e rimbalzò al quinto posto. Poi corse anche il Tour, soprattutto per dare una mano a Nibali, missione riuscita solo parzialmente. Vincenzo fece sforzi titanici per silurare la corazzata Sky, ma dovette accontentarsi del suo primo podio a Parigi, dietro l’accoppiata Wiggins-Froome.

La coabitazione in casa Liquigas era comunque agli sgoccioli. Nibali, in scadenza di contratto, si accordò con l’Astana; Basso rimase con il gruppo che l’anno dopo si chiamò Cannondale. Il tempo fece il resto: il varesino ebbe ancora lampi di classe ma non riuscì più a lottare ai vertici; il siciliano aggiunse due Giri d’Italia e un Tour de France alla Vuelta del 2010, diventando uno dei sette grandi (gli altri sono Merckx, Anquetil, Gimondi, Hinault, Contador e Froome) capaci di conquistare tutte e tre le corse a tappe più ambite. Cipollini aveva visto giusto.