Gomez, l’oro della Colpack: «Ho la volata nel sangue e sogno Sanremo e mondiale»

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La vittoria di Nicolas Gomez al Memorial Polese, la prima di stagione per il Team Colpack Ballan (Foto Rodella).
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Quattro vittorie in quindici giorni: il 5 marzo al Polese, il 6 al De Nardi, il 12 alla Due Giorni Per Alessandro Bolis, il 20 alla Popolarissima. Nelle due restanti prove, comunque tra i protagonisti: settimo al debutto stagionale a Misano e quarto nella Youngster Coast Challenge, in Belgio, nonostante una caduta negli ultimi chilometri che lo ha rallentato impedendogli di lanciare a dovere lo sprint di Persico, che alla fine è pur sempre arrivato terzo. Questo, per sommi capi, il travolgente inizio di stagione di Nicolas Gomez, velocista della Colpack arrivato ormai al quarto anno tra i dilettanti.

Dopo Ayuso, spagnolo, la formazione bergamasca dimostra d’aver pescato bene un’altra volta dall’estero, in questo caso dalla Colombia. Entrambi, sia Ayuso che Gomez, sono stati scovati e indirizzati in Italia da Matxin, abilissimo cacciatore di talenti che adesso fa il direttore sportivo alla Uae.

«Quand’ero ancora tra gli juniores – ricorda Gomez – mi consigliò di trasferirmi in Spagna per qualche mese per correre nella squadra di un suo amico. Poi si fece avanti una formazione colombiana che correva anche coi professionisti, quindi avrei potuto coronare il mio sogno a 19 anni. Alla fine non se ne fece nulla, così parlai di nuovo con Matxin. Gli chiesi se poteva aiutarmi».

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Nicolas Gomez e Francesco Della Lunga festeggiano l’1-2 Colpack-Ballan alla Popolarissima (foto: Rodella)

E lui cosa ti rispose?

«Che c’era questa squadra italiana, la Colpack, interessata a me. Però serviva ancora qualcosa per convincerli del tutto. La Colpack, l’Italia: non mi sembrava vero. Rientrai in Colombia e puntai tutto sulla Vuelta del Porvenir, storica vetrina del ciclismo giovanile colombiano. Andò bene: vinsi una tappa e diversi traguardi volanti».

E così, tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019, sei arrivato ad Almè (in provincia di Bergamo, il paese dove la Colpack ha il ritiro, ndr) per la tua prima stagione tra gli Under 23. L’impatto com’è stato?

«Ero combattuto. Da una parte, certo, ero felice d’essermi guadagnato una possibilità così importante e non vedevo l’ora di misurarmi coi nuovi avversari. Ma dall’altra mi chiedevo se sarei stato all’altezza. Ovviamente non parlavo italiano e alcuni miei amici colombiani che erano stati a correre da voi mi avevano messo in guardia».

Su cosa?

«Sul livello, altissimo; sull’agonismo, feroce; sul modo di correre, molto aggressivo. Era tutto vero, l’avrei provato sulla mia pelle fin dalle prime gare. Nelle gare colombiane c’è più tranquillità e gli avversari non sono né così tanti né così forti. E poi, specialmente a inizio e fine anno, mi pareva sempre freddissimo. Ho dovuto imparare ad allenarmi e a correre con temperature che non conoscevo. Chi aveva mai usato gambali e manicotti?»

Ti sei ambientato in fretta?

«Diciamo di sì. In gara i miei compagni mi guidavano e proteggevano, specialmente dai più esperti. Il nonnismo c’era, a volte si doveva fare quello che dicevano i “vecchi” senza tante polemiche. Fuori dalle corse, invece, ho imparato tutto da Gianluca Valoti e Rossella Di Leo. Praticamente viviamo nello stesso edificio: loro al terzo piano e io al primo, quello dedicato ai ragazzi e al ritiro della squadra». 

La vittoria di Nicolas Gomez, la seconda di stagione per il Team Colpack Ballan (Foto Rodella)

Provi nostalgia ripensando a El Carmen de Viboral, il tuo paese colombiano?

«Ormai mi sono abituato a vivere qui. Gianluca e Rossella sono diventati la mia seconda famiglia e alla Colpack mi sento a casa. Infatti non smetterò mai di ringraziare il presidente Colleoni per l’opportunità che mi ha dato. Se mai riuscirò a passare professionista, una buona parte del merito sarà loro».

Dopo un inizio di stagione del genere si è fatto avanti qualcuno?

«Ancora no, ma ci spero. Diciamo che se continuo così sarà difficile non prendermi in considerazione. Nel frattempo io continuo a fare quello che ho sempre fatto affidandomi alle parole di Valoti: piedi per terra, umiltà e darsi da fare, nel ciclismo non c’è niente di dovuto».

Quando hai capito d’avere più talento di tanti tuoi coetanei?

«Tra gli juniores. Correvo anche in pista e il mio allenatore mi diceva: sei bravo, hai del potenziale. Io ci credevo e intanto ammiravo i campioni: Sagan, perché all’epoca era il numero uno, e Gaviria, perché era l’unico colombiano che avevo visto vincere in volata. Credo sia stato una sorta di pioniere per tutti i velocisti sudamericani. O almeno, io l’ho vissuta così: vederlo trionfare al Giro e al Tour mi ha dato tanta speranza e motivazione».

Eppure non hai le misure di un velocista: sei alto 1,70 e pesi meno di 65 chili.

«E’ vero, ma nemmeno Cavendish e Ewan sono due colossi. E’ il ciclismo che è cambiato: gli sprinter potenti e robusti ci sono ancora, ma non sono numerosi come prima. Io non vorrei avere altre caratteristiche: sono rapido e riesco a superare le salite brevi, quindi durante l’anno ho tante chance di provare a vincere».

Il podio: Carla Pinarello premia Nicolas Gomez, con lei anche la madre Ida Gobbo

Ma quello che stupisce di te è che vinci anche le volate di gruppo, non soltanto quelle a ranghi ristretti.

«Io sono un velocista in tutto e per tutto. Nella preparazione della volata mi aiuta saper guidare benissimo la bici. In tanti mi dicono che sono un funambolo. Mi piace tutto quello che ha le ruote, infatti vado anche in mountain bike, monociclo e moto. Senza dimenticare, ovviamente, l’esperienza e la bravura dei miei compagni: se non ci fossero loro a guidarmi non vincerei così tanto».

Obiettivi per quest’anno?

«Il professionismo prima di tutto. Solitamente vado in Colombia ad ottobre e rientro a febbraio inoltrato, ma quest’anno sono tornato prima in Italia proprio perché volevo cominciare col piede giusto. Sono al quarto anno, sento la pressione di dover sbagliare il meno possibile. Sapevo d’essermi preparato bene, ma sinceramente non così tanto. Adesso le gare a cui punto sono due: Circuito del Porto (concluso al secondo posto già nel 2019 e nel 2021, ndr) e Avenir».

Niente Giro, dunque?

«Decideremo soltanto quando conosceremo il percorso. Se la Colpack decide di puntare alla generale avrà bisogno di un leader, alcuni scalatori e qualcuno che sia in grado di tenere sotto controllo le varie fughe. Per questo motivo più che al Giro penso all’Avenir».

Sogni nel cassetto?

«Il mondiale e la Milano-Sanremo, le due corse che non possono mancare nel palmarès di un grande velocista. E poi la maglia verde del Tour e quella ciclamino del Giro. L’ho detto prima, io sono e mi sento un velocista: in gruppo sono tranquillo, ma negli ultimi cinque chilometri non conosco più nessuno e voglio soltanto vincere la volata».

Fuori dal ciclismo, invece, chi è Nicolas Gomez?

«Un ragazzo colombiano che durante l’anno torna a casa un mese in estate e che vorrebbe la propria fidanzata in Italia e non così lontano. Ho due sorelle più grandi che vivono per conto loro. E i miei genitori sono separati, ma quando rientro in Colombia li vedo sempre: a volte uno, a volte l’altro. Studiare? No, sono sincero, non mi è mai piaciuto. Ho sempre pensato quasi esclusivamente allo sport».

E al ciclismo come ti sei avvicinato?

«Avevo 13 anni e facevo motocross. Ero iperattivo, avevo già praticato diversi sport: tennis, basket. Pedalavo anche. Fatto sta che un giorno un amico di mia madre ci disse che la domenica successiva ci sarebbe stata una gara. Io, se avessi voluto, sarei potuto andarci. Me la ricordo come se fosse oggi: pedalavo ancora con le scarpe da ginnastica e in corsa, proprio accanto a me, all’improvviso ci fu una caduta. Io la evitai e sentii dentro di me un’adrenalina mai provata prima. Me ne innamorai».

Come ti descriveresti?

«Iperattivo, solare, permaloso. Non so perché, non c’è un motivo preciso, ma ho sempre il sorriso stampato in faccia. Anzi, quasi sempre: quando non ce l’ho è perché me la sono presa per qualcosa. Rossella me lo dice sempre: sei troppo permaloso. Ha ragione, ma non posso farci niente. Se posso, aggiungo anche ambizioso. Sono cresciuto regolarmente e i risultati sono sempre arrivati, ma adesso è il momento di fare il salto di qualità. Infatti non ho più idoli: più che sugli altri preferisco concentrarmi su me stesso».