Rubino non molla: «Ho scelto la Viris per arrivare al professionismo. Non sono un corridore da buttare»

Rubino
Samuele Rubino in azione (foto: VirisVigevano)
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Il 2018 di Samuele Rubino, il suo secondo e ultimo anno tra gli juniores, fu veramente importante: 5° alla Corsa della Pace, 3° all’Arno, 1° al campionato italiano e al Buffoni. I migliori coetanei italiani (Petrucci, Benedetti, Frigo, Zambanini, Tiberi, Piccolo, Baroncini) se li lasciava regolarmente alle spalle. Nello spazio di qualche anno, la situazione si è drasticamente capovolta: i corridori sopracitati o corrono già tra i professionisti o sono comunque molto prossimi a farlo, Rubino invece è arrivato alla quarta stagione tra i dilettanti con la quarta formazione differente, la Viris Vigevano (dopo aver già corso con Kometa, Ntt e Lan Service).

Rubino, cosa può essere andato storto?

«Se devo essere sincero non ne ho la più pallida idea. Mentalmente mi sento molto più forte e maturo di qualche anno fa, sulle salite intorno casa faccio registrare dei valori sempre migliori. Eppure non sono mai riuscito a replicare i risultati di quand’ero uno juniores di belle speranze».

Quanto hanno influito le aspettative che ti portavi dietro?

«Un ruolo ce l’avranno pur avuto, però non mi pare d’averle sofferte esageratamente. Non credo siano la causa principale, ecco. Ho sempre vinto, fin da bambino, da quando cominciai a pedalare a 7 anni dopo aver visto mio padre lavorare come massaggiatore alla Lampre. Allora ci facevo poco caso, col tempo invece ho capito cosa significasse battere gli altri. Ma non è mai diventato un assillo».

E allora cos’è successo?

«Lo ripeto, non saprei. Posso fare delle ipotesi. Magari il mio talento è emerso prima di quello altrui. Magari gli altri avevano più margini di me. Io con gli allenamenti non mi sono mai spremuto, poco ma sicuro. Ma non sono nemmeno un lavativo: m’impegno tanto e dagli juniores in poi ho dedicato gran parte della mia quotidianità al ciclismo».

C’entra allora qualche scelta sbagliata?

«Per il 2019, il mio primo anno tra gli Under 23, scelsi la Kometa, la formazione di Basso e Contador. Una scelta forte, ma mi sembrava quella giusta. L’ambiente era di alto profilo e io sentivo di poter crescere con calma». 

Ma qualcosa non ha funzionato.

«Non correvo tanto e quando mi attaccavo il numero alla schiena mi ritrovavo in gara a Murcia, alla Castilla y Leon, all’Asturias, al Tour de l’Ain. Il livello era alto, un modo diverso d’interpretare il ciclismo rispetto al dilettantismo italiano. Però non mi sono mai pentito di quella scelta, bensì di un’altra».

Quale?

«Ho sbagliato a lasciare la Kometa per la Ntt nel 2020. Non fraintendetemi, non mi hanno fatto mancare niente e mi sono trovato bene, però ho la sensazione che se fossi rimasto nella squadra spagnola sarei riuscito a far fruttare il lavoro del primo anno». 

Erano entrambe due formazioni d’alto livello: la concorrenza interna può aver influito sulle tue prestazioni?

«Più alla Kometa che alla Ntt. Quella stagione mi ritrovai come compagni diversi corridori che di lì a poco sarebbero passati professionisti: Canton, Dina, Lopez, Oldani, Ries, Sevilla, Viegas. C’erano anche Gazzoli e Puppio, che alla fine sembrano essersi sistemati. Ero al primo anno tra i dilettanti, era normale che non mi facessero correre troppo. Forse avrei dovuto stringere i denti e rimanere lì un’altra stagione. Tra l’altro io per Contador stravedevo, correre per lui è stato bello».

Cosa ti piaceva?

«Principalmente lo stile, la danza mentre scalava le montagne. Ricordo nitidamente che da bambini lo imitavamo tutti, non ce n’era uno che in salita non pedalasse come lui. E poi vinceva tanto, spesso staccando gli altri. Erano gli anni della triade spagnola: Contador, Valverde e Rodriguez, forse quello al quale per caratteristiche assomiglio di più».

Leggero, rapido, esplosivo.

«Peso 54 chili e sono alto 1,68, non potrei andare forte altrove: non ho un fisico possente, né una punta di velocità elevata. Infatti, se proprio dovessi pensare ad una gara adatta a me, direi il Giro di Lombardia. Il percorso mi si addice e a me piace particolarmente». 

Adesso non ti resta che passare professionista.

«Sono al quarto anno tra i dilettanti, anche se i tre precedenti non sono stati all’altezza ho ancora voglia di provarci. In bicicletta mi diverto, mi son sempre divertito, e secondo me se al divertimento viene abbinato il duro lavoro prima o poi qualche risultato arriva. Non ho ancora deciso se sarà la mia ultima stagione in gruppo, adesso non voglio pensarci».

Dopo il 2021 passato alla Lan Service, per il 2022 hai scelto la Viris Vigevano. Cosa ti ha convinto?

«Si allenano sulle mie strade, tra Piemonte e Lombardia (Rubino è nato a Novara, ndr), e in diverse occasioni li ho incrociati. Mi facevano simpatia: un gruppo unito e compatto, spesso con l’ammiraglia al seguito. Quando mi sono fatto avanti, il loro direttore sportivo, Martolini, non c’ha pensato due volte. Mi sono trovato bene fin da subito, sono contento di far parte di questa realtà».

Ti sei posto degli obiettivi in particolare?

«Intanto vorrei correre con continuità. Non è scontato: nel 2020, ad esempio, la pandemia mi ha tagliato le gambe, ero al secondo anno nella categoria e avrei avuto bisogno di tutt’altro. Tra aprile e giugno le gare non mancano e io voglio mettermi in mostra il più possibile. Lo scorso anno, seppur non abbia brillato, un paio di piazzamenti tra i primi dieci li ho centrati (9° a Sona, 10° al Matteotti): non sono ancora un corridore da buttare».