Bonelli vuole riprovarci: «Dopo la vittoria di tappa al Giro, adesso il mio obiettivo è il Liberazione»

Bonelli
Alessio Bonelli vince la terza tappa del Giro d'Italia Under 23 2021.
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Sul rettilineo d’arrivo della terza tappa del Giro d’Italia Under 23 dello scorso anno, la Cesenatico-Cesenatico, Alessio Bonelli non ha sbagliato nulla. Ha fatto lavorare Michael Belleri, compagno di squadra più forte ma più lento di lui; ha marcato Luca Colnaghi, il più pericoloso di quel drappello di attaccanti, tra l’altro costretto a lanciare una volata lunghissima proprio per ricucire uno strappo causato dallo stesso Belleri; infine, a poche decine di metri dall’arrivo, ha sprigionato il suo sprint non lasciando scampo a Colnaghi.

Sembra la descrizione della vittoria di un corridore esperto e scafato, non di un ragazzo del 2001 che all’epoca dei fatti era a metà della sua seconda stagione tra i dilettanti.

«Ma soprattutto un successo da pistard – analizza Bonelli – Le mie doti mi son tornate buone: mi sono concentrato nel prendere le ruote dei più pericolosi e li ho saltati nel finale, quando al traguardo mancava veramente poco».

Alessio, anche Michele Gazzoli un mese e mezzo prima aveva ringraziato il suo passato da pistard che gli aveva permesso di impostare alla perfezione la volata vincente al Liberazione.

«Nella costruzione di un corridore, inevitabilmente la pista dà tanto. La pista o qualsiasi altra specialità, insomma. Ognuna ha qualcosa da insegnare. Io pedalo in pista da tanti anni, ormai mi conosco abbastanza bene e ho sviluppato un certo occhio. Fa piacere constatare che su strada possono tornare utili le lezioni della pista, e viceversa. Quel giorno al Liberazione c’ero anch’io, una corsa che mi è piaciuta molto».

E che ben si confà alle tue caratteristiche.

«Assolutamente sì, l’ho capito appunto lo scorso anno strada facendo, mano a mano che imparavo a conoscere il circuito intorno alle Terme di Caracalla. E’ il grande obiettivo della mia stagione, quantomeno il più grande della prima parte dell’anno».

Tuttavia, non è l’unica gara veloce interessante per un corridore come te.

«No. Mi piacerebbe mettermi in mostra fin da subito. Debutto il 26 febbraio alla San Geo, in provincia di Brescia, la mia, visto che vivo a Botticino. E’ lo stesso paese di Scaroni, che corre nella Gazprom, e a volte durante gli allenamenti si forma un bel gruppetto: io, lui, Tagliani, Mareczko. E tanti altri ancora».

La Biesse è tornata a far parte delle continental, quindi è lecito aspettarsi qualche tua presenza nelle gare professionistiche.

«Sì, magari a partire dalla Coppi e Bartali, una prova che m’intriga molto. E’ il giusto compromesso: più tappe, anche diverse tra loro, e una lista di partecipanti valida ma non assurda. Di certo non mi monto la testa: il posto assicurato non ce l’ho in nessuna gara, l’organico è forte e sono arrivati diversi stranieri di livello come Foldager, Nordal e soprattutto Svrcek».

Quindi non c’è la certezza di rivederti al prossimo Giro d’Italia.

«Quella assoluta no, ma manca talmente tanto che sinceramente non ci penso nemmeno. E’ ovvio che mi piacerebbe esserci: l’anno scorso sono stato uno degli otto vincitori di tappa, il segno l’ho lasciato, e poi è una delle corse più importanti per la categoria».

Così come europei e mondiali, due gare che solitamente strizzano l’occhio ad atleti alla Bonelli.

«Se non penso al Giro, figuriamoci agli europei e ai mondiali. Io so che, dimostrando costanza ed incisività, di conseguenza convinco Amadori a puntare su di me. Amadori e non solo, ma anche Milesi e Nicoletti della Biesse-Carrera. Però, come dicevo prima, non perdo il sonno a gennaio pensando ad europei e mondiali».

Come ti descriveresti?

«Come persona direi pacifica e di compagnia, tendo ad andare d’accordo con tutti e cerco sempre di favorire l’unità del gruppo. Invece come corridore direi forse più veloce che resistente, anche se qualche salita la digerisco».

Anche per questo motivo, dunque, al Giro dello scorso anno hai scelto le prime tappe per andare in fuga.

«Esatto, scalatore è l’ultimo aggettivo che userei per descrivermi, per questo al Giro dello scorso anno mi impegnai così tanto nelle prime tappe. E dire che non dovevo nemmeno partecipare. Venni chiamato pochi giorni prima della partenza in sostituzione di un compagno, con la squadra avevamo concordato che io sarei andato all’attacco finché potevo per mettermi in mostra. Ad un certo punto volevo quasi fermarmi, menomale non l’ho fatto».

Prima hai parlato esclusivamente dei tuoi pregi. Comprensibile, ma a noi interessano anche i tuoi difetti.

«Sono spericolato, non so se sia un bene o un male. In bicicletta non ho mai paura di niente, né su strada né in pista. E da bambino ho iniziato proprio così: saltando da un marciapiede all’altro. I miei amici mi volevano al parchetto sotto casa a giocare a calcio, io non c’andavo quasi mai perché correre nei confini di un prato mi sembrava una limitazione». 

Perché la pista?

«Perché abito vicino a Montichiari e da piccolo c’andavo molto spesso. Mi sono abituato, ormai per me pedalare in pista è naturale tanto quanto pedalare su strada. Mi piacciono madison e corsa a punti, più in generale tutto quello che è endurance. E’ in pista, da juniores, che ho capito d’avere un po’ di stoffa».

Ti ispiri a qualche corridore in particolare?

«Mathieu Van der Poel è il mio corridore preferito, anche se non mi ci rivedo per niente. Vince in qualsiasi specialità ed è un talento naturale, altro che costruito come sostengono alcuni. E poi è imprevedibile: attacca quando nessuno se l’aspetta, a volte rimane senza energie proprio sul più bello. Mi intriga».

E per quanto riguarda la pista, invece?

«Elia Viviani, uno dei senatori della nazionale italiana. Ha esperienza, ha vinto tanto, c’era quando la pista italiana quasi non esisteva più e c’è ancora oggi nonostante tutto il talento del quale disponiamo. E’ serio, esigente, professionale. Guardo a lui per capire come bilanciare la doppia attività».

Spericolato, dicevi prima. Nessun altro difetto?

«Devo migliorare nella lettura della corsa. A volte sbaglio i tempi, altre volte non comprendo in anticipo quelli altrui, le loro mosse e le loro tattiche. Ma non mi abbatto, sono ancora giovane e fa parte del mio processo di crescita. Non ho nessuna fretta, sinceramente».