AMARCORD/76 Irrompe l’Armata Rossa: Konychev l’astro nascente, ma il più vincente sarà Tchmil

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Si presentarono in carovana ai nastri della stagione 1989, avvolti nel mistero e accolti con legittima curiosità: per la prima volta, nel circuito professionistico, appariva una squadra tutta composta da corridori sovietici, cresciuti nel cosiddetto “dilettantismo di Stato”.

Fu un segnale rivelatore, uno dei tanti in quel periodo: il blocco dei paesi socialisti era in via di dissoluzione (il Muro sarebbe caduto nel novembre successivo), indebolito dalla perestroika e da un dissenso interno sempre più audace. E lo sport dell’Est europeo si apriva rapidamente all’occidente.

Nel caso specifico, l’operazione che portò i 15 corridori sovietici nel grande ciclismo nacque da un accordo tra l’Armata Rossa (sotto le cui insegne gli atleti avevano corso fino ad allora) e i dirigenti dell’Alfa Lum, squadra sammarinese in attività dal 1982. Colnago fornì i telai, Primo Franchini era il direttore sportivo italiano, Morozov quello sovietico.

C’era anche Suchoruchenkov, leggenda al tramonto

Tra i quindici, c’era uno dei più forti e carismatici corridori che l’Urss avesse mai schierato: Sergej Sukhoruchenkov, che fra i dilettanti aveva vinto tutto, compreso l’oro ai Giochi Olimpici di Mosca nel 1980 e due Tour de l’Avenir. Ma a 32 anni “Sucho” era ormai al tramonto, più un emblema che un atleta. L’astro nascente era piuttosto il ventiduenne Dimitri Konychev, già vincitore del Giro dilettanti. Fu lui, non a caso, ad apparire sulla copertina che nel gennaio 1989 Bicisport dedicò all’entrata in scena dei “draghi dell’Est”.

Lo status di neoprofessionisti sbarrò quell’anno ai sovietici l’accesso a molte delle corse più importanti. Proprio quell’anno, infatti, partiva la nuova Coppa del Mondo, formata da un circuito di grandi classiche, a cui partecipavano di diritto solo le prime 20 squadre di una classifica redatta in base ai punti che portavano in dote i corridori (in pratica, il ranking di allora). L’Alfa Lum, formata da debuttanti, non poté che rimanerne fuori.

Konychev, sfiorato il colpo mondiale a Chambery

In ogni caso, i risultati stagionali furono più che buoni: Konychev confermò un talento non comune, vincendo Coppa Agostoni e Giro dell’Emilia e sfiorando il clamoroso successo ai mondiali di Chambery (fu secondo dietro Lemond). In piena luce anche alcuni dei suoi compagni: Pulnikov fu undicesimo al primo approccio con il Giro d’Italia (l’anno dopo sarà quarto), Ugrumov impressionò in salita, vincendo la cronoscalata della Futa (sarà due volte sul podio finale del Giro); Ivanov fu sesto alla Vuelta, dopo aver vinto una tappa.

E poi c’era un corridore un po’ oscuro, nato in un lembo lontanissimo della Russia, a un passo dalla Cina. Quell’anno non vinse niente, ma si sarebbe ampiamente rifatto in futuro. Si chiamava Andrei Tchmil e il suo nome figura negli albi d’oro di tre delle cinque classiche monumento: Parigi-Roubaix (1994), Milano-Sanremo (1999) e Giro delle Fiandre (2000). Ci volle una brutta caduta nel 2002 per convincerlo al ritiro. Aveva 39 anni e stava preparando la sua dodicesima campagna del Nord.