Mondiali su pista, l’allarme di Martinello: «I trionfi di Ganna e Milan nascondono i problemi, la base non esiste»

Martinello
Silvio Martinello, voce tecnica del Giro d'Italia su Rai Radio 1
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Alla fine dell’anno più vincente dello sport italiano, i Mondiali su pista potrebbero darci ancora qualche bella soddisfazione. Silvio Martinello rivendica il ruolo che ha avuto il ciclismo nell’estate d’oro degli azzurri ma allo stesso tempo ci mette in guardia: quel risultato eccezionale potrebbe paradossalmente nascondere il livello reale della nostra pista.

«Senza dubbio l’oro del quartetto a Tokyo è uno dei fiori all’occhiello di questo 2021. Erano 61 anni che non arrivava un oro nella specialità che, a torto o a ragione, viene ritenuta il risultato che dà il termometro della pista in un Paese. Nel nostro caso però rischia gettare un po’ di nebbia negli occhi, di nascondere il fatto che la pista non sta vivendo un grandissimo periodo. Viviamo questo paradosso: al vertice dell’endurance abbiamo due gruppi di altissimo livello ma praticamente non esiste attività di base.

«Mi auguro che questi risultati eccellenti inducano chi di dovere a fare scelte lungimiranti, altrimenti vanifichiamo i risultati. I successi di questi grandi atleti, da Ganna a Milan, ci impongono di non nascondere la polvere sotto il tappeto, di programmare il futuro, di investire per garantire un ricambio, una presenza costante ad alto livello. Quando si spengono le luci, questi risultati devono essere utilizzati per fare sì che il movimento, che è in grossa difficoltà alla base, possa generare ricambi».

Dove può andare chi vuole correre su pista?

«In Italia di velodromi scoperti ce ne sono, sono circa una cinquantina, e per cominciare sarebbero sufficienti, sono impianti utilissimi per sviluppare i talenti, e sono in tutte le regioni. Però bisogna metterli in condizione di essere operativi, ci dev’essere personale all’altezza, bisogna dare la responsabilità ai comitati regionali, altrimenti perdiamo un’altra buona occasione. Questo è il patrimonio che non dobbiamo perdere, invece molti di questi velodromi sono chiusi, in altri c’è una sola bicicletta per quattro atleti, e ogni volta bisogna riadattarla.

«Sono lasciati al loro destino, non sono supportati economicamente dalla federazione, mentre è proprio adesso che dobbiamo insistere. In Italia non esiste neanche un calendario giovanile su pista, non c’è mai un vero confronto. Prendiamo il Veneto, regione ciclisticamente all’avanguardia: eppure nel 2021 si sono svolte soltanto 7 competizioni su pista giovanili, e tutte a livello di Esordienti e Allievi, niente per gli Juniores. Vediamo cosa farà il nuovo gruppo dirigente: finora ho sentito tanti annunci, ma di progetti ne ho visti pochi».

Qual è il rischio?

«Io ho fatto parte del quartetto che vinse il Mondiale nel 1985 a Bassano, dopo 15 anni di niente. Dopo di noi ancora niente: siamo dovuti arrivare al gruppo di Callari, al 1996 e 1997. E dopo di allora non si è costruito nulla, così non abbiamo toccato palla finché non è arrivato il gruppo attuale. Villa giustamente è concentrato a lavorare con questi ragazzi, anche perché i Giochi di Parigi sono fra tre anni. Ma dietro Ganna e compagni che cosa stiamo costruendo? Il giorno in cui questi ragazzi smetteranno, o semplicemente si dedicheranno alla strada, resteremo altri 15 anni senza toccare palla? Prendiamo l’inseguimento individuale: gli ultimi Mondiali juniores li ha vinti Samuele Bonetto, era la seconda gara di inseguimento che faceva. Non possiamo pensare di andare avanti sempre a colpi di fortuna, quanti Bonetto ci sono senza che lo sappiamo?».

Milan è un’eccezione in questo panorama?

«Milan ha avuto la fortuna di essere stato intercettato da Roberto Bressan. Cycling Team Friuli e Colpack sono le due formazioni da cui sono usciti praticamente tutti i pistard di questi ultimi anni. Se Milan fosse nato in altre latitudini probabilmente nessuno si sarebbe mai accorto del suo talento, invece è un secondo Ganna. Anzi, Filippo alla sua età non faceva ancora i tempi che sta facendo Milan. Ma tutto questo purtroppo nasce dal caso».

Milan può giocarsi le sue carte anche nell’inseguimento individuale?

«Sì, senza dubbio. Il sogno di tutti è una finale fra lui e Ganna, e ci sono tutti i presupposti perché possa andare così».

Che cosa dobbiamo aspettarci da questi Mondiali su pista?

«Ci aspettiamo tutti molto, sapendo che se è difficile raccogliere risultati eccezionali, confermarsi è ancora peggio. Ma nel settore endurance, sia maschile sia femminile, abbiamo formazioni molto competitive che ci danno buone garanzie. Poi, come si è visto anche a Tokyo col quartetto, perdere o vincere spesso è questione di poco».

Il quartetto arriva al Mondiale dall’oro di Tokyo. Saranno ancora i danesi la squadra da battere?

«Qualche nazionale non ha perso tempo e ha già impostato qualche cambiamento rispetto a Tokyo, inserendo ricambi. Comunque sì, vedo danesi e inglesi molto pericolosi. Non sottovaluterei la Francia, che corre in casa, e non dimenticherei la Svizzera, che a Tokyo ha deluso. L’assenza di Nuova Zelanda e Australia renderà il compito più semplice a tutti, con questo non voglio dire che sarà facile prendersi l’oro».

Ganna quest’anno ha già gareggiato per quasi diecimila chilometri, corre dall’Étoile de Bessèges, erano i primi di febbraio. 

«Mi dicono che sia molto professionale, molto attento, uno che si diverte a pedalare, che ha passione. Quando la testa ti sorregge le cose diventano più semplici».

Gli azzurri sono un gruppo di amici. Il duello Ganna-Milan può cambiare le carte ai Mondiali su pista?

«Dopo Viviani, che è stato l’ariete che ha riaperto le porte della pista, Filippo è il capitano riconosciuto del gruppo. Milan non ha mai nascosto la sua ammirazione per Ganna, sono molto amici. Questo è un gruppo solido. Da quello che mi risulta Viviani potrebbe entrare nel quartetto, fra qualificazioni e finali, evidentemente ha recuperato il gap nei confronti degli altri quattro».

A Elia manca soltanto l’oro mondiale. 

«E’ strano non ci sia ancora riuscito. Ma è anche vero che c’è un altro aspetto da considerare: il calendario di questi Mondiali su pista è troppo affollato, 20 titoli per i maschi e 20 per le femmine, mi domanado dove voglia andare l’Uci, così la pista perde credibilità, non puoi avere 50 campioni del mondo, non sono neanche più riconoscibili. Se fossi diventato presidente federale avrei spinto per un ritorno al passato, bisogna puntare sulle specialità tradizionali, chi se ne frega del campione del mondo dello Scratch. L’iperspecializzazione ci sta portando su una strada sbagliata, stiamo ancora cavalcando l’onda anglosassone ma così si sviliscono i Mondiali, mancano solo la corsa nei sacchi e la cuccagna e abbiamo fatto bingo».