AMARCORD/65 Aru, la Vuelta nel destino: il trionfo del 2015 sembrò il decollo di un fuoriclasse

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Adesso sembra passato un secolo, ma nel settembre del 2015 Fabio Aru vinse la Vuelta España, proprio la corsa che sei anni dopo avrebbe scelto per congedarsi dal ciclismo. E lo fece da grande campione, al termine di tre settimane piene di pathos e colpi di scena.

Si era presentato all’appuntamento iberico da leader dell’Astana, alla pari con Nibali. Una promozione che il ragazzo sardo, allora venticinquenne, aveva ampiamente guadagnato sul campo: dopo un grande 2014, che lo aveva visto terzo al Giro e quinto al suo primo approccio con la Vuelta, era ulteriormente cresciuto, centrando la piazza d’onore al Giro d’Italia del 2015, dietro a Contador. 

L’ombra di Nibali, rassicurante e ingombrante nello stesso tempo, svanì già al secondo giorno, per la squalifica del siciliano, reo di essersi attaccato all’ammiraglia per ridurre il distacco dal gruppo dopo una caduta. Sbattuto in prima linea, Aru se la cavò come meglio non avrebbe potuto: nel primo, feroce scontro tra i grandi, dopo nove giorni, cedette solo spiccioli a Dumoulin, Froome e Purito Rodriguez, passati nell’ordine sotto il traguardo in salita di Benitachell. E due giorni dopo, con il secondo posto dietro al compagno di squadra Landa, in una complicata tappa andorrana, si ritrovò per la prima volta in maglia rossa

Lottò da gigante sulle Asturie, ma la crono finale faceva paura

La posizione di leader e il ritiro di Froome per un infortunio aprirono spiragli sul trionfo finale. In salita, il cliente più pericoloso era Rodriguez, ma sia il sardo che lo spagnolo avevano un’esigenza primaria: staccare Tom Dumoulin, che nella cronometro di Burgos, nell’ultima settimana, li avrebbe sicuramente puniti. 

E infatti: Aru e Rodriguez battagliarono come giganti sulle Asturie, Dumoulin perse terreno. Purito riuscì anche a strappare la maglia rossa ad Aru, che rimase però completamente in gioco, a un solo secondo di distanza. 

La cronometro provocò sconquassi: Dumoulin vinse come da copione, Rodriguez affondò, Aru riuscì a limitare i danni, per una situazione che vide l’olandese nuovo leader e l’italiano a 3 secondi. Il gran duello era fissato per il penultimo giorno di corsa, una cavalcata tra i vari “puertos” nei dintorni di Madrid.

Sulle ultime salite l’attacco decisivo: Dumoulin alla deriva

La rumba dell’Astana cominciò a 50 chilometri dal traguardo. Prima Cataldo, poi Rosa, poi Landa organizzarono un forcing che mise subito alle corde Dumoulin negandogli ogni possibilità di bluff: riuscì a rientrare, ma tutti capirono che le sue forze erano al lumicino. Così, qualche chilometro dopo, Aru portò il grande attacco: lo seguirono Quintana e Majka, Dumolin cercò risorse da se stesso e aiuti dai compagni, non trovando né le une né gli altri.

Sull’ultima salita, il divario crebbe fino a diventare incolmabile. Aru non ebbe che la preoccupazione di controllare gli ultimi colpi di coda di Rodriguez, che in classifica gli era a oltre un minuto. Sul traguardo di Cercedilla, l’apoteosi: Fabio Aru conquistava la sua Vuelta, sesto italiano dopo Conterno (1956), Gimondi (1968), Battaglin (1981), Giovannetti (1990) e Nibali (2010).

Molti la definirono la sua “prima” vittoria in una grande corsa a tappe, sicuri che ne sarebbero venute altre. Oggi è da considerare come il punto più alto di una parabola declinata troppo presto.