Nel 2022 torna il Tour de France donne. Luperini (tre maglie gialle): «Finalmente!»

Fabiana Luperini ha conquistato tre Tour del France consecutivi dal 1995 al 1997 e cinque Giri d'Italia
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Il direttore del Tour de France, Christian Prudhomme, ha confermato in una recente intervista al Guardian che il prossimo anno Aso organizzerà il Tour de France donne che si correrà subito dopo la conclusione della gara dei professionisti.  

«Avremmo potuto farlo già quest’anno – ha tenuto a precisare Prudhomme – se non ci fosse stata la pandemia ma soprattutto le Olimpiadi di Tokyo, che tenendosi una settimana dopo la conclusione del Tour maschile avrebbero privato la gara delle atlete più importanti».

Aso aveva già organizzato il Tour donne dal 1984 al 1989.

«C’è un motivo – ha spiegato – se quella gara è durata solo sei anni, ed è la mancanza di un equilibrio economico. Noi vogliamo creare un evento che rimanga nel tempo. E questo significa che la gara non può avere un bilancio in rosso. Se quell’obiettivo fosse stato raggiunto prima, a quest’ora staremmo festeggiando la 35ª edizione del Tour donne. La sfida è quella di creare un evento che possa durare 100 anni. Ed è il motivo per il quale seguirà il Tour degli uomini, così la maggior parte delle emittenti televisive che faranno il Tour potranno trasmettere anche la corsa delle donne».

Quelle sei edizioni furono caratterizzate dai duelli tra Jeannie Longo e la nostra Maria Canins che si divisero i successi: due alla Canins (’85 e ’86) davanti alla francese e tre a Jeannie (dall’87 all’89) davanti alla Maria nazionale.

Maria Canins ha vinto due Tour de France e un Giro d’Italia

Dal 1992 la corsa cambia organizzazione e nome, diventa Grande Boucle Cycliste Feminin e nel 1995 la Longo si trovò a fare i conti con una ragazzina di 21 anni, Fabiana Luperini, reduce dal successo al Giro d’Italia, che avrebbe quasi potuto essere sua figlia (16 gli anni di differenza) e che la relegò a 8 minuti nella generale.

Proprio alla campionessa toscana abbiamo chiesto che cosa significa il ritorno della Grande Boucle per le donne.

«E’ molto importante – afferma la Luperini, 47 anni – perché non averlo avuto in questi anni è stata una grave lacuna per il movimento. Soprattutto per un’atleta da gare a tappe poter mettere nel palmares una vittoria al Tour è una conquista importante al pari di un mondiale o di un’Olimpiade».  

Nei tre Tour che hai vinto si scalavano cime epiche…

«Il Tour riusciva a toccare in due settimane sia le Alpi che i Pirenei, sebbene con trasferimenti allucinanti…»

Hai vinto 16 tappe, qual è quella a cui sei più legata?  

«Sicuramente la seconda del 1995. Ero già in maglia gialla, andai via dopo due chilometri, c’erano il Glandon e la Madeleine, e all’arrivo diedi oltre sette minuti alla Longo».

Praticamente Tour ipotecato. Altre salite mitiche?

«Sempre in quel Tour il Tourmalet. Ricordo che quando lo affrontammo si scatenò il diluvio universale, riusciì a vedere la linea del traguardo dieci metri prima».

La salita più dura?

«Forse il Mont Ventoux, perché a un certo punto manca anche l’ossigeno, anche se noi non arrivammo in cima».

Prudhomme ha dichiarato che il ciclismo femminile ha raggiunto ottimi livelli però ci sono ancora grandi disparità.

«Ha ragione e il problema è soprattutto economico. L’arrivo del WorldTour per le donne è stato positivo per chi corre in quelle squadre, però ha accentuato maggiormente i divari: se uno guadagna bene si può permettere di essere seguito da un preparatore, ma se una ragazza non guadagna niente, è costretta ad allenarsi part time ed è logico che anche la resa cambia. E lo stesso discorso vale per l’assistenza alle ragazze: dai materiali ai meccanici ai massaggiatori».

Chi ti piace di più delle nostre cicliste?

«Tra le giovani vedo grandi potenzialità in pista, quest’anno su strada si è mossa bene anche la Balsamo e penso che nel futuro farà bene. Tra le “vecchie” faccio ancora il tifo per la Marta Bastianelli perché abbiamo corso insieme, è una mia amica e quando vince per me è una grande soddisfazione. E poi logicamente il faro del ciclismo italiano ora è la Longo Borghini. Mi piace quando rischia, attacca da lontano e cerca il colpo grosso, io correrei così. Mi piace di meno quando si “accontenta” o la vedo tirare con la Van Vleuten e la Van der Breggen: io con le olandesi non tirerei un metro. Ma sono scelte tecniche».

Perché secondo te le olandesi sono così forti?

«Forse sono dei cicli o anche una coincidenza storica per cui sono nate nello stesso periodo più fenomeni (sorride, ndr). Il fatto è che l’Olanda investe molto nel ciclismo ed è logico che se c’è un vivaio di mille bimbe è più facile che ne venga fuori una brava».

Quando ti sei ritirata hai fatto un paio di stagioni sull’ammiraglia, poi hai cambiato totalmente lavoro, ma il ciclismo è sempre lì…

«Mi occupo della gestione del personale per un’azienda, ma seguo anche una squadra di allieve a San Miniato. Ho dieci ragazze».

Qual è il tuo primo insegnamento?

«Che il ciclismo è sì un divertimento, ma bisogna fare le cose sempre seriamente perché il ciclismo è uno sport di sacrificio. Ma dico sempre alle ragazze che soprattutto a questa età la scuola ha sempre la precedenza. Se qualcuna ha un’interrogazione il giorno dopo, può anche saltare l’allenamento. Essere seri nella scuola e nello sport è una scuola di vita, un’abitudine a far le cose bene che rimane per sempre».