Marcato: «In UAE anche nel 2021. Pogačar? Ha voglia di imparare. La Jumbo al Tour ha corso male»

Anche nel 2021 Marco Marcato correrà con la UAE Team Emirates.
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C’è una cosa che accomuna i corridori intervistati in questi giorni: la tranquillità. La stagione anomala, e le incertezze sul calendario, stanno portando un po’ tutti questi ragazzi a godersi maggiormente la famiglia e il riposo a casa: non c’è miglior modo, per questi girovaghi del mondo dello sport, di ricaricare le pile. Non scappa da questo concetto nemmeno Marco Marcato, classe ’84, veneto, che si appresta a correre la sua diciassettesima stagione tra i professionisti.

A casa con le due bambine, a fare il papà a tempo pieno, come ci racconta lui, perché «In un momento come questo sono contento di stare qui, ci aggrappiamo alla famiglia, ai loro affetti per superare la criticità di questa situazione» e magari staccando del tutto con qualche videogioco. «Di auto soprattutto, ma in particolare Gran Turismo».

Bici? Poca, ci dice sempre il portacolori della UAE Team Emirates, qualche giro in mountain bike o con gli amici, «ma andando sempre a spasso. Da qualche giorno ho ripreso anche la bici da strada, ma sempre con tranquillità. Con le gare in Australia saltate e un calendario che potrebbe iniziare più avanti rispetto al solito è inutile forzare ora per ritrovarsi già scarico a inizio stagione».


Uomo squadra importante, ma capace anche di dire la sua quando chiamato a correre in prima persona: è possibile che sei ancora senza squadra per l’anno prossimo?

«No, io resto fino al 2021. Gira questa notizia sbagliata sul contratto scaduto a fine 2020, ma io in realtà avevo firmato nel 2019 con la UAE Team Emirates ancora per due anni. Quindi ancora una stagione e poi vedremo. Finché ho voglia di alzarmi al mattino e fare sacrifici e soprattutto fin quando riuscirò a fare ciò che la squadra mi chiede, continuo, senza mettermi limiti per via dell’età».

Marco Marcato al suo primo Tour de France nel 2011 è salito sul podio dell’undicesima tappa, ricompensato dopo una lunga fuga con il Premio della Combattività. Il giorno dopo, quattordici luglio, festa nazionale francese, correrà con il dorsale rosso. Nella foto Marcato mostra anche il premio della Paris Tours, la corsa più importante vinta (nel 2012) in carriera.


Parliamo di Tour e di Pogačar. Durante la corsa, Tadej ha detto di fidarsi ciecamente del tuo lavoro e che nei momenti di difficoltà saresti stato il suo punto di riferimento in corsa, soprattutto nei temuti ventagli. Come si ottiene la fiducia di un corridore così giovane e forte?

«Io penso che il giovane quando ti rispetta vuol dire che è intelligente. Capisce e osserva. Ci sono dei giovani che adesso, soprattutto negli ultimi anni, passano professionisti convinti di saper già tutto, ma non gliene si può fare una colpa. Perché succede questo? Da juniores iniziano già a lavorare come io lavoravo i primi anni da pro e quindi arrivano con una preparazione di base grazie alla quale sono già pronti per vincere. E quindi ti trovi ragazzi che passano convinti già di sapere tutto, magari anche trascinati da diesse e da chi li gestisce che li consiglia male anche solo nel come muoversi in gruppo. Poi, sai, quando ti ritrovi in gruppo con gente che ha più esperienza di te a volte rischi di prenderla nei denti. Poi allo stesso tempo ci sono giovani che sono forti, che sanno di esserlo, però sanno che per crescere bisogna osservare e ascoltare. Tadej è uno di questi. Quando è arrivato da noi sapevamo fosse un talento, ma lui pian piano, con rispetto, ti chiedeva consigli, “ma tu in questa situazione cosa faresti?” È uno che ha voglia di imparare e che corre con rispetto: qui sta la differenza. Tadej al Tour pensava: io seguo Marco perché so che lui ha esperienza in queste cose, ho visto come si muove in gruppo e posso fidarmi».

Marcato Marcato nel 2014 in maglia Cannondale in azione durante la quarta tappa del Tour de San Luis.


E al Tour questo atteggiamento ha pagato.

«Al Tour de France è partito senza nessun tipo di pressione e di aspettative. Veniamo da un’annata particolare quindi lui stesso si era messo in una situazione da “raccogliamo quel che viene”. Poi, sai, la squadra il Tour lo ha preparato come se dovessimo vincerlo e qui bisogna dare merito al lavoro di Allan Peiper. Quando siamo andato in ritiro al Sestriere siamo andati più volte a vedere le tappe alpine, ma soprattutto lui e Tadej avevano preparato a puntino la crono finale, lì dove Tadej ha fatto la differenza: quella tappa era stata preparata al centimetro. Lui era partito con l’idea di vincere la tappa, ma non credo pensasse di ribaltare il Tour. Tadej è un ragazzo normalissimo, come lo vedi è. Prima della partenza ascoltava musica, rideva e scherzava. Noi volevamo farlo stare tranquillo prima della sua partenza e lui era lì che rideva e scherzava con tutti, meccanici, massaggiatori, rilassato e tranquillo: questo ha fatto la differenza rispetto a Roglic, che è andato fortissimo durante tutto il Tour, ma ha avuto la giornata no nel momento decisivo».

Forse quando Roglic ha avuto l’occasione di sferrare il colpo del KO non lo ha fatto. Che impressione avete avuto voi in corsa?

«Lasciami dire una cosa. La sua squadra ha corso in maniera esuberante. Andavano tutti fortissimo, ma questa cosa si è rivelata controproducente per loro. Tu hai la maglia di leader e sbagli se corri tutto il giorno in quinta, sesta posizione, perché la squadra tira tutto il giorno e tutti i giorni. Un esempio: la tappa terminata sul Grand Colombier vinta da Tadej. Siamo andati in fuga dopo aver fatto la prima mezz’ora a oltre 55 di media. Eravamo una quindicina di corridori, c’era Trentin, c’ero io, ma nessun uomo di classifica. E la Jumbo che fa? Tira per riprenderci invece di farci andare a dieci, quindici minuti. Un’azione che non interessava a nessuno con quelle salite che c’erano nel finale. Dopo 100 chilometri a furia di inseguirci e di tenerci a 3 minuti avevamo fatto i 53,5 di media. Tu capisci che fare così, e stare in quinta, sesta posizione rispetto a stare nella pancia del gruppo, ti consuma, ti cuoce. E fallo un giorno, due giorni, tre giorni, alla fine lo paghi. Le corse si vincono sui dettagli. Il livello è talmente alto tra i migliori che spesso non fai la differenza in salita. Ormai la fai a cronometro, nei ventagli o a causa di cadute, oppure nelle tappe miste dove succede qualcosa di inaspettato e quindi, soprattutto in un grande Giro, serve risparmiare energia. Ti faccio un altro esempio. Tony Martin va a tutta per cento chilometri, ma poi si sfila e risparmia. Roglic invece deve fare anche la salita, tenere duro tutti i giorni e sta lì tutto il giorno davanti. Ci sono situazioni in cui se puoi andare a risparmio devi approfittarne e loro non lo hanno mai fatto».

Tanta esperienza all’estero: Marco Marcato ha fatto il suo esordio nel World Tour nel 2011 con la maglia dell’olandese Vacansoleil, squadra con la quale ha corso tra il 2009 e il 2013.



L’anno prossimo arriva Trentin, aggiungendo te e Kristoff siete una bella squadra per il Nord.

«Sì, siamo un bel gruppo pronto a dire la nostra sul pavé. Aggiungerei ai nomi che hai fatto anche quelli dei due Oliveira. Sono cresciuti molto quest’anno e secondo me possono dire la loro anche in questo tipo di corse».

Tu hai vinto una corsa importante come la Paris-Tours, ma una corsa in Belgio ti manca.

«Già, sarebbe bello, ma per vincere dipende dalle situazioni. Sai io sono molto realista e conosco i miei limiti e logicamente se guardiamo al panorama internazionale, van der Poel e van Aert al momento sono inavvicinabili. L’unica mia speranza sarebbe quella di vivere la classica giornata super, magari in una fuga che scappa via, o anticipando con un gruppettino vicino al traguardo e se dietro sbagliano fai il colpaccio. Non si sa mai: Hayman ha vinto una Roubaix quando aveva la mia età…»

Poi tu hai corso a sufficienza tra Belgio e Olanda, le conosci bene quelle strade.

«Per imparare tutti i muri fiamminghi c’ho messo una decina di anni. Ora conosco tutti i nomi, anche delle strade che ci arrivano. Ma i primi anni era un disastro. I muri sembravano tutti uguali, i nomi difficili da imparare e prima di capire come orientarti c’è voluto del tempo. Sono corse particolari dove l’esperienza oltre al feeling è tutto, perché devi capire quando è il momento in cui puoi rilassarti, e viceversa qual è il momento in cui sai che puoi sprecare energie per stare davanti. Perché se stai davanti su un determinato settore sai che poi sarai davanti anche nei muri successivi. Un giovane, anche se è forte, deve capire che ha bisogno di accumulare esperienza per dire la sua al Nord».