Caruso è pronto a riprovarci: appuntamento alla Vuelta

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Damiano Caruso, quarto all'ultimo Giro d'Italia
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Damiano Caruso è tornato alla corsa rosa dopo due anni e quel secondo posto a meno di un minuto e mezzo da Bernal. Ha chiuso quarto, senza riuscire a mettere realmente nel mirino il podio ma senza rimpianti. Adesso lo attendono un meritato periodo di riposo e la marcia di avvicinamento alla Vuelta. Con che ruolo?


Adesso che il Giro è finito, per qualche settimana Damiano Caruso si scorderà d’essere un corridore. È un’espressione piuttosto efficace che gli capita di usare quando le fatiche del suo mestiere diventano quasi insopportabili.
Questo è uno di quei periodi: ha appena concluso al quarto posto una corsa rosa resa appesantita e innervosita dal maltempo, e tra ritiro in altura, Giro di Sicilia e Giro d’Italia fanno due mesi che Caruso è lontano da casa sua. Da sua moglie, Ornella, e dai suoi figli, Oscar e Greta. E dalla sua Ragusa, il nido che avrebbe potuto benissimo abbandonare in svariate occasioni, ma casa è casa, non è vero che si può vivere ovunque, per certe cose non basta farci l’abitudine. Un’ora di aereo in più della maggior parte dei colleghi e Caruso atterra dove vuole, non dove deve.

Al Giro ci tornava dopo la cavalcata trionfale di due anni fa. Anche se non aveva vinto, un paese intero aveva conosciuto il suo volto da operaio e la sua bontà da garzone, tifandolo senza riserve come si fa con gli eroi popolari e momentanei, a cui non interessa mantenere la popolarità oltre il limite del buonsenso. Caruso chiuse secondo a 1’29” da Bernal, vincendo con autorevolezza all’Alpe Motta dopo aver ringraziato per il lavoro svolto Bilbao con una pacca sulla spalla che è già storia, un gesto che i capitani veri (quelli ambiziosi e spietati) non fanno mai.

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Damiano Caruso al termine della cronometro del Monte Lussari

La Bahrain-Victorious l’anno scorso lo ha dirottato sul Tour. Lui ha dovuto accettare obtorto collo, alla fine chi firma un contratto è un dipendente. Non andò bene: crollato nello stesso giorno di Pogacar ma qualche decina di chilometri prima, ritirato dopo 17 tappe. Alle gare che gli restavano per concludere l’anno ha partecipato quasi esclusivamente per professionalità e per dare un segnale di normalità a se stesso.

L’avvicinamento di Caruso al Giro non era stato particolarmente entusiasmante: settimo all’Andalucia, quattordicesimo alla Tirreno, decimo al Sicilia. Poi, improvviso ma non casuale, il terzo posto al Romandia alle spalle di Yates e Jorgenson. Una gara, quella svizzera, che a Caruso è sempre piaciuta, tanto da farlo rinunciare alla Liegi senza drammi. Per l’ennesima volta, il siciliano aveva fatto i conti alla perfezione: si presentava ai nastri del suo obiettivo stagionale esattamente come sperava.

Eppure, guai a definirlo capitano. Regista, luogotenente, mina vagante: questi i ruoli che gli venivano attribuiti. Come se il giovane (per quanto talentuoso) Buitrago potesse far classifica, come se l’esperto Haig (comunque terzo alla Vuelta del 2021) fosse più affidabile di Caruso.

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Damiano Caruso studia le difficoltà della tappa

Il suo Giro era cominciato con una cronometro in cui doveva tirare a difendersi: trentunesimo a 1’28” da Evenepoel. In quei giorni diceva ancora che dalla sua gara era meglio non aspettarsi granché, che provare a conquistare una tappa, magari quella delle Tre Cime di Lavaredo, sarebbe stato il massimo a cui ambire.

Poi, tra gli abbandoni e la sua ormai proverbiale regolarità, Caruso aveva terminato la seconda settimana al sesto posto. Il suo percorso ciclistico gli consigliava di rimanere leggero, ma le polemiche della frazione mozzata di Crans Montana lo avevano innervosito.
«Lungo le strade ci hanno fischiato e offeso – confessava all’arrivo a chi aveva avuto la pazienza di aspettare oltre un’ora che uscisse dall’antidoping – io non ci sto, perché per una vita ho fatto il gregario senza ambizioni personali e quindi tutto quello che sto raccogliendo in questo momento è un qualcosa in più e vorrei godermelo. Prendiamo acqua da due settimane, non metteteci in croce per una tappa accorciata».

Caruso non può sopportare che si metta in discussione la sua integrità. È figlio di un padre che per un breve periodo ha fatto parte della scorta di Falcone per un milione e duecentomila lire al mese, la stretta di mano e il guardarsi negli occhi per lui hanno ancora un valore.
L’estate scorsa, quando la Bahrain venne perquisita per ben due volte in Francia nei giorni del Tour, Caruso si sentì violato perché quei controlli oltrepassavano l’ordinario. Quello che gli dispiacque di più fu sapere che andarono a perquisire anche la casa della madre.

Damiano Caruso dopo il traguardo di Crans Montana al Giro d’Italia 2023

Dalla terza settimana di Caruso era lecito aspettarsi parecchio: Roglic, Thomas e Almeida gli erano stati superiori soltanto sul passo e il suo non aver niente da perdere, lasciava fantasticare. Purtroppo, a riportarci tutti coi piedi per terra è bastata la prima tappa dopo l’ultimo giorno di riposo, quella del Bondone: 1’16” da Almeida e Thomas, 51” da Roglic e una nuova minaccia, Dunbar, per mantenere il quarto posto.

Stesso canovaccio due giorni dopo in Val di Zoldo: 1’01” incassato da Roglic e Thomas, 40” da Almeida e 25” da Dunbar, che lo scavalcava in classifica generale. A parole Caruso si diceva comunque soddisfatto, si era prefissato il quinto posto e quinto era, ma si vedeva che non era felice, non poteva esserlo, subito dopo il traguardo si fermava dai suoi uomini per mettersi una mantellina e fuggiva gli sguardi dei giornalisti che lo aspettavano. 

La giornata delle Tre Cime gli ha restituito tranquillità, anche se non ha vinto lassù come sognava (soddisfazione parziale: ha esultato Buitrago, suo compagno di squadra). Caruso è arrivato con Almeida, rifilando 54” ad un Dunbar in netto declino.
La cronoscalata del Monte Lussari ha confermato la tendenza: primo provvisorio finché all’arrivo non si sono avvicendati i primi tre: quarto alla fine, tanto di giornata quanto nella generale.

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Lo scalatore siciliano con sua figlia prima di una tappa del Giro d’Italia

«Sono in pace con me stesso – raccontava – sono dove avevo pensato, sperato e immaginato. Oggettivamente Thomas, Almeida e Roglic avevano qualcosa in più di me. Il mio riferimento era il portoghese e lui ha impiegato solo 13” in meno. Di questa giornata mi rimarrà impressa la salita, micidiale, tra un chilometro e l’altro il tempo non passava mai. Di questo Giro, invece, ricorderò il calore dei tifosi, che hanno urlato il mio nome per tre settimane. Li ringrazio, in certe occasioni ho tenuto duro pensando a loro».

E allora come dobbiamo giudicare il Giro d’Italia di Damiano Caruso? Buono inteso come solido e concreto, senza acuti né tentativi particolarmente brillanti. A lungo lo si è potuto immaginare in grado di lottare ad armi pari con Thomas, Roglic e Almeida. Un po’ perché nelle prime due settimane erano mancate le grandi salite su cui valutare lo stato di forma dei migliori e un po’ perché i tre fari sembravano emanare una luce egualmente fioca. Invece, quando le pendenze hanno cominciato ad accentuarsi, le differenze sono emerse con nettezza. C’è anche chi ha provato ad impostare la seguente equazione: ma il Caruso di due anni fa avrebbe potuto vincere questo Giro? Ma nel ciclismo le equazioni non reggono, sono troppe le variabili da prendere in considerazione. Due anni fa fu sicuramente più appariscente, ma non è detto che quest’anno sia andato meno forte. E di sicuro il livello almeno dei primi tre era più alto.

Adesso c’è una lunga estate senza gare che lo attende. A giugno farà il padre e il marito, a luglio andrà a Livigno e ad agosto rientrerà alla Vuelta a Burgos per rifinire la condizione in vista della Vuelta. Non chiedetegli adesso con quale ruolo e ambizioni, è come parlare col muro. Probabilmente risponderebbe che gli basta non avere rimpianti, dimenticandosi che il più grande gli farà compagnia per tutta la vita: non aver puntato prima su se stesso, aver trascorso troppi anni al servizio di capitani buoni ma non eccezionali.
C’è chi, nel corso di un’esistenza, deve reputarsi fortunato se imbocca una sola strada giusta. Caruso ne ha trovate due, gregario stimato prima e leader gentile ed efficace dopo. E comunque c’è vita anche nei rimpianti, nelle decisioni sbagliate, negli errori di valutazione.