Ganna è il volto dell’agonismo (anche quando non vince)

Filippo Ganna all'arrivo della cronometro di Perugia
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Guai a dare per sconfitto Filippo Ganna dopo la cronometro di Perugia. Certo, i risultati parlano chiaro: la settima tappa del Giro d’Italia è stata stravinta da Tadej Pogacar. Con il suo body “rosamino”, metà rosa e metà ciclamino, ha tagliato il traguardo con un vantaggio di 17” su Ganna e – cosa più importante – ha rifilato distacchi massicci in classifica generale. I plausi alla performance monstre dell’alieno rosamino sono giustissimi e doverosi, ma non proviamo neanche per un istante a mettere in secondo piano Filippo Ganna.

Filippo lo ha detto fin dall’inizio. «È stata una giornata no». Ha appena concluso una cronometro senza sbavature (salvo una, causata da una tifosa), chiudendo magistralmente anche le curve più tecniche con l’eleganza di chi in quella posizione compressa sulla bicicletta ha imparato a starci tanti anni fa, eppure – proprio perché padroneggia le crono da anni – Ganna ha la lucidità del campione che conosce molto bene sé stesso, e non è contento. Sa di non essere stato imbattibile. Quando a fine tappa si toglie il casco e il sorriso esita a spuntare, qualcosa non va. Ci è voluto un po’ prima di riuscire a decifrare le sue microespressioni, perché subito dopo l’arrivo era devastato dallo sforzo. Il mento chino a toccare il petto, dalla tv si vedevano solo i suoi capelli.

Non appena ha risollevato il capo, abbiamo riconosciuto il volto di chi su quei 40,6 km ha dato anima e corpo. Tantissimo corpo, centinaia e centinaia di watt di corpo, ma anche e soprattutto anima. Ganna vuole bene al Giro d’Italia (l’affetto è reciproco) e lo onora tappa dopo tappa, ma oltre al “patriottico” sentimento che lo lega alla Grande Corsa di casa c’è di più. C’è la voglia di spingere il proprio fisico al limite, sempre. Dal secondo in cui Pippo ha un dorsale sulla schiena, si può stare certi che non lo porterà a spasso.

Neanche quando il percorso della cronometro non è adatto alle sue caratteristiche, neanche quando le raffiche di vento moltiplicano lo sforzo, neanche quando l’avversario incombe minaccioso: non ci sono scuse. Anzi, più la sfida è gravosa, più il campione si esalta, spinto dall’asticella che lui stesso si costringe ad alzare, sempre più in alto.

Invece di seguirlo con le telecamere, invece di provare a cogliere in lui un qualche segno di stizza per scriverci un titolo da dare in pasto ai detrattori: celebriamo questo atleta che ogni volta sa farci alzare dal divano e sa scuoterci come se quella bava alla bocca e quel mal di gambe li avessimo noi. Quello che abbiamo visto a Perugia, disfatto e deluso, è il volto dell’agonismo.