Carini: «La caduta ai Paesi Baschi è figlia di un errore umano, le bici di oggi sono più sicure»

Carini
Giovanni Carini, meccanico della nazionale italiana di ciclismo su pista
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Fervono i preparativi per la nazionale italiana di pista, che lunedì mattina partirà per Milton, Canada, dove si terrà la terza prova di Nations Cup. Tra i meccanici presenti, ovviamente, anche Giovanni Carini, che nonostante l’intenso lavoro a Montichiari (dove l’Italia sta provando le nuove Pinarello che utilizzerà alle Olimpiadi di Parigi) ha avuto modo di farsi un’idea sulla brutta caduta che ieri ai Paesi Baschi ha coinvolto, tra gli altri, Vingegaard, Roglic ed Evenepoel.

Giovanni, secondo molti addetti ai lavori la colpa principale è da imputare alle biciclette.

«Con tutto il rispetto, io non sono d’accordo. In più di un’occasione ho avuto modo di confrontarmi sul tema con un atleta molto sensibile a certe dinamiche come Elia Viviani, e lui stesso mi ha confermato che i mezzi di oggi sono estremamente sicuri».

Cosa può aver innescato l’incidente di ieri?

«Bisognava esserci. Della ghiaia sull’asfalto? Queste famose radici sotto l’asfalto? Un’errata valutazione della curva? Un’ingiustificata velocità elevata? Una frenata troppo secca? Non credo proprio che la colpa sia delle biciclette».

C’è chi sostiene che siano troppo rigide, ingestibili in certi frangenti.

«Sono i corridori che guidano, che si assumono certi rischi, che decidono se e quando tirare i freni. Mi spiego. I freni a disco sono indubbiamente più efficienti dei freni tradizionali, sia sull’asciutto che sul bagnato. È un dato di fatto. Eppure, per assurdo, questo può diventare controproducente proprio a causa dell’atteggiamento dei corridori».

Spiegati meglio.

«Di base è un bene che il freno a disco sia così efficiente, siamo d’accordo. Ma tanti corridori abusano della loro efficacia, entrano in curva come dei kamikaze e inchiodano all’ultimo momento. Però, in situazioni del genere, la colpa non è del disco che frena troppo, ma dell’atleta che non tiene conto di certi pericoli».

E i tubeless?

«Che siano insidiosi è un altro falso mito. Intanto ci tengo a precisare che le sezioni sono più ampie di un tempo, quindi la superficie che poggia sull’asfalto è maggiore. E poi i tubeless hanno una pressione più bassa, non si gonfiano molto, quindi l’aderenza è ancora più alta. Perché si deve montare la polemica a tutti i costi?».

Il manubrio eccessivamente stretto può influire sulla sicurezza del gesto atletico?

«Non dico di no, la stabilità può risentirne, ma non credo nemmeno per un secondo che oggi si cada più spesso per via dei manubri stretti. Vedrai che svanirà anche la moda delle leve eccessivamente inclinate, perché i rischi sono tanti e il guadagno aerodinamico non è rilevante».

Quindi, in definitiva, non credi che le biciclette di oggi siano più pericolose.

«Assolutamente no, io credo il contrario: che siano più sicure. Ma siccome sono aerodinamiche e molto veloci, bisogna stare attenti a guidarle nella giusta maniera. Ad esempio, la caduta di Van Aert alla Dwars door Vlaanderen è figlia dello stress, della casualità, del voler stare davanti a tutti i costi, del non voler tirare il freno. Forse dare la colpa alle biciclette è più comodo, ma è sbagliato».