Fondrieschi: «La Albiono è in un limbo, Cataldo e Tagliani correranno per Stefano Giuliani»

Fondrieschi
Luciano Fondrieschi doveva essere il team manager dell'Albiono Pro Cycling. In foto, è con Michael Matthews
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Era ottobre quando Luciano Fondrieschi venne contattato dalla Federazione delle Isole Vergini, che rientra sotto l’egida britannica. Gli venne proposto un progetto affascinante e apparentemente solido: la Albiono Pro Cycling, una continental di basso profilo ma internazionale.

«Io vivo in Italia ma ho le mie attività in Francia, in Costa Azzurra – racconta Fondrieschi – Già la Métropole, una continental con sede a Nizza, aveva provato a coinvolgermi qualche anno fa, ma io declinai perché non ero convinto. A ottobre, appunto, mi ha contattato il presidente federale delle Isole Vergini. Nell’organico figurava anche il figlio, Darel Christopher, e soltanto in un secondo momento ho capito che essenzialmente la squadra era stata allestita per lui, dal padre per il figlio. Era un programma campato per aria, purtroppo».

Ripercorriamone le tappe.

«Io avrei dovuto essere il team manager e finché l’avventura è durata mi sono mosso come tale. Siccome sono nel ciclismo da quarant’anni le conoscenze non mi mancano, quindi tramite Luca Guercilena mi sono messo in contatto con alcuni direttori sportivi per trovare corridori da ingaggiare. Ero riuscito a prendere, tra gli altri, Cataldo, Tagliani ed El Gouzi. Non si trattava di uno squadrone, ma mi sembrava una buona base da cui cominciare».

A quel punto mancava tutto il resto.

«E infatti avevo iniziato a muovermi per reperire le biciclette, l’abbigliamento, i mezzi, lo staff. Che qualcosa non funzionava me ne sono reso conto quando ho capito che il presidente della Federazione figurava anche come presidente del team: mi sembrava un conflitto d’interessi, tra l’altro non c’era nessuno che controllava il suo operata. Se la cantava e se la suonava, insomma. Altri problemi, quelli decisivi, sorsero quando iniziai a fare pressioni affinché saldassimo in anticipo certe spese necessarie».

Cosa ti veniva risposto?

«A volte non ricevevo nemmeno delle risposte. Riscontravo incertezza, balbettamenti, ponevo delle domande e chi di dovere rispondeva ad altre. Avrei voluto debuttare a Laigueglia, sono le mie zone e conosco l’organizzazione, l’invito sarebbe arrivato. Mi sono esposto economicamente in prima persona per poter organizzare il primo raduno, così da conoscerci. Ma tra gennaio e febbraio la situazione è degenerata, si capiva che difficilmente la squadra sarebbe partita».

Adesso le cose come stanno?

«Se devo essere sincero non lo so, perché io mi sono chiamato fuori. Non so nemmeno dirti se la squadra sia registrata o meno all’Uci. Io ho firmato soltanto l’atto di responsabilità, col quale mi impegnavo a vigilare sulla corretta gestione del team. Il contratto da team manager non l’ho mai firmato, perché mi venne recapitato senza cifre, figuriamoci. Comunque, molto banalmente, si è trattato di un’avventura troppo rischiosa. E io, a sessant’anni, ci sono finito dentro per ingenuità e passione».

I due italiani, Tagliani e Cataldo, hanno già trovato un’altra sistemazione?

«Sì, correranno con la Vini Monzon-Savini Due di Stefano Giuliani. Io gli ho chiesto il favore di trovare due posti per questi ragazzi, non avrei mai perdonato me stesso se per causa mia avessero dovuto smettere. Il patto è molto semplice: io sostengo economicamente l’accordo, perché giustamente a marzo una squadra non può permettersi ulteriori investimenti, e i ragazzi potranno correre. Con Giuliani ne abbiamo già parlato, sarebbe bello se da questa prima forma di collaborazione nascesse un rapporto futuro più solido».

È l’ennesima formazione che salta ancora prima di cominciare.

«Purtroppo sì, hai ragione. Dei soldi non m’interessa niente, non sarei diventato team manager per arricchirmi e fortunatamente le mie attività mi permettono di rimanere in piedi anche se ho bruciato inutilmente tra i 20.000 e i 30.000 euro. Rimane l’amaro in bocca perché il progetto, per quanto piccolo, era effettivamente affascinante: avrei potuto lavorare con giovani provenienti da parti diverse del mondo, altro che multietnico, e l’idea era quella di gareggiare soprattutto all’estero. Mi dispiace esser stato preso in giro e mi dispiace che certi ragazzi abbiano perso tempo. Io ho fatto il massimo per tutelarli».

Perché succedono ancora queste cose?

«Non voglio parlare a nome di tutti. In questo caso, fondamentalmente per un calcolo errato. Io so bene quanti soldi ci vogliono per allestire una continental piuttosto che una professional, e ingenuamente immaginavo che lo sapessero anche sulle Isole Vergini. Ho sbagliato a fidarmi. Mi è stato detto che insistono nel promettere che prima o poi la squadra partirà. Se qualche corridore rimanesse bloccato in quella situazione mi dispiacerebbe molto. E più avanti, quando si saranno calmate le acque, adirò le vie legali».