Sessa smette: «Spero comunque d’aver dato spettacolo. Ora voglio aiutare i talenti del Sud»

Sessa
Gerardo Sessa vincitore del Giro del Montalbano 2022 (credit: Biagini)
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A gennaio, nel pieno della preparazione per l’inizio della stagione ormai imminente, Gerardo Sessa diceva: il Napoli diventerà campione d’Italia e io riporterò lo spirito partenopeo nel ciclismo che conta, vale a dire nel professionismo. Era la sua passione calcistica, innanzitutto, a farlo parlare.

«Ho iniziato a pedalare a otto anni, ma d’estate: la bicicletta, per me, allora era lo sport estivo. L’appassionato era mio padre, che infatti ha sempre sognato e sperato di vedermi un giorno professionista. All’epoca la mia attività principale era il calcio: difensore, anche se da tifoso napoletano il mio giocatore preferito era Cavani, letale e bello da vedere. Arrivato tra gli esordienti, decisi di lasciare il pallone per la bici. Non avrei mai smesso, almeno fino a pochi giorni fa. Purtroppo non sono riuscito a realizzare il sogno che avevamo io e la mia famiglia, e un po’ mi dispiace».

Perché questa decisione, Gerardo?

«Doveva essere la stagione del definitivo salto di qualità: ero un elite al secondo anno, nato nel 1999, ora o mai più insomma. I risultati raccolti nel 2022 lasciavano ben sperare: primo al Giro del Montalbano, secondo sul Monte Pora dietro a Lucca passato poi professionista, ancora secondo al Valdarno, quarto nella Costa dei Trulli in mezzo agli azzurri in partenza per il mondiale australiano. E invece, purtroppo, niente da fare: un problema dietro l’altro».

Di che genere?

«Da marzo in poi, in serata, ha cominciato a salirmi una febbre spiacevole. Tuttora non ne ho capito le cause. Fatto sta che anche recentemente, dopo il Giro del Veneto, mi sono ritrovato nella stessa situazione. Era inutile andare avanti, la stagione ormai era compromessa, non ho raccolto niente e non c’era tempo per rimediare, stando ancora male. Adesso sto facendo un ciclo di antibiotici. Peccato, non ho mai trovato il colpo di pedale dei giorni migliori».

Chiudi con qualche rimpianto?

«Il momento più difficile è stato rendermi conto che ormai sentivo di voler smettere. Si è chiuso un capitolo della mia vita durato diciassette anni, credo sia normale. Io ho dato tutto quello che avevo, sacrifici e caparbietà inclusi: questo me l’ha insegnato Domenico Pozzovivo, che da piccolo vedevo sempre allenarsi nella zona di Sant’Antonio Abate, dove il lucano ha vissuto per un periodo. Però forse qualcosa di diverso farei».

Cosa?

«Avrei avuto bisogno fin da subito di una guida: un direttore sportivo, magari un compagno di squadra più esperto e prodigo di consigli, come ho fatto io in queste ultime stagioni alla Palazzago. All’inizio della mia avventura tra i dilettanti ho passato giorni e giorni in ritiro a Pontremoli, in Lunigiana. Intorno non c’era nulla, un paio di case disabitate e basta. Per il resto, nebbia e grigiore. Ed ero quasi sempre da solo. Non il massimo per un ragazzo campano di diciotto anni. E nonostante tutto sono andato avanti ancora un bel po’».

Tiralongo
Paolo Tiralongo, ex professionista e attuale direttore sportivo della Palazzago

Quand’è cambiata la tua carriera?

«Quando sono entrato nella Palazzago, era il 2020. C’era Commesso che mi motivava e Fusi che mi preparava, infatti ho chiuso il Giro al quindicesimo posto. Mi sono sempre reputato uno scalatore, ma forse forte in salita come in quel periodo non sono mai stato. E poi mi sono trovato benissimo anche con Tiralongo, venuto dopo Commesso. Ho capito chi ero troppo tardi: dovevo osare di più e credere maggiormente in me stesso. Per una vita ho attaccato da lontano perché ero sicuro di non poter reggere i migliori quando questi avrebbero cominciato a fare sul serio. E invece non era vero, era una mia paura e basta».

Quali sono i ricordi più belli che porti con te?

«La vittoria al Giro del Montalbano, il secondo posto al Valdarno nel giorno del compleanno di mio padre, la maglia azzurra vestita nel 2020 alla Coppa della Pace. E ci metto anche il campionato regionale lombardo: non l’ho mai vinto in Campania nelle categorie inferiori perché fisicamente ero meno dotato degli altri, e sono andato a vincerlo tra i dilettanti al Nord. E’ stata una grossa soddisfazione».

Adesso cosa farai?

«A novembre mi laureo in Scienze Motorie, poi vorrei aprire una squadra di esordienti dalle mie parti. Non avete idea di quanto sia complicato sfondare nel ciclismo in Campania. Io, soltanto per arrivare tra i dilettanti, ho dovuto stringere i denti e lottare in continuazione. Vorrei che per i bambini di oggi fosse un po’ più facile domani. Sul piatto, comunque, c’è anche un’offerta di Tiralongo: mi ha chiesto di rimanere con lui alla Palazzago per dargli una mano. Ci sto pensando, non lo nego, Paolo è il primo ad interessarsi da anni ai giovani corridori del Sud Italia. Senz’altro quello del direttore sportivo è un ruolo che mi piace e per il quale credo d’essere tagliato».

Qual era il tuo sogno?

«Rappresentare il ciclismo partenopeo nel professionismo, regalare una soddisfazione alla mia famiglia e a chi mi vuole bene, magari vincere una tappa al Giro d’Italia. Se proprio devo esagerare, vincere un decimo di quello che ha vinto Bettini, il corridore che tifavo quand’ero bambino, perché era astuto e brillante. Anche se eravamo due corridori totalmente differenti, io scalatore seppur non puro, mai sveglio com’era sveglio lui. In compenso, attaccando da lontano per anticipare gli avversari rispetto ai quali non mi reputavo all’altezza, spero d’aver dato un po’ di spettacolo. Mi basterebbe».

Sessa
Podio del Giro del Montalbano 2022 (credit: Biagini)