Tour de France Femmes / Se la Longo Borghini sbaglia strada e il mondo non riesce più a trovarla

Elisa Longo Borghini, con le compagne della Trek-Segafredo, sul foglio firma della quarta tappa del Tour de France Femmes (foto: A.S.O./Fabien Boukla)
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Fateci caso. Marzo, Italia, Tirreno-Adriatico 2022: Remco Evenepoel, Tadej Pogacar e Jonas Vingegaard – non proprio tre qualunque – sbagliano strada a cinque chilometri dall’arrivo della quinta tappa, e vince Warren Barguil. «Non c’era nessuno sul percorso», si giustificano i protagonisti dell’errore. I commenti sui social sono tutti contro l’organizzazione: la strada bisogna marcarla meglio, non è colpa dei corridori, non c’erano segnalazioni sufficienti, e via dicendo. Luglio, Tour de France Femmes: Elisa Longo Borghini svolta a sinistra prima dello sprint della quinta tappa, perdendosi la volata di gruppo. La campionessa italiana si scusa immediatamente dell’errore sui social, con grande autoironia: «Attacco a sorpresa oggi al traguardo. Chiedo scusa a tutto il gruppo, sono contenta di non aver fatto male a nessuno e ora… potete ridere di me, me lo merito». Commento standard sui social? «Torna a lavare i piatti», e vi risparmiamo il resto. 

Potremmo fare mille altri esempi. Caduta di gruppo al Tour maschile: poverini, che paura, speriamo che non siano fatti male, certo però quella curva è un po’ rischiosa, si poteva anche evitare. Caduta collettiva al Tour de France Femmes: eh ma questo succede se non sai andare in bicicletta, vogliono gli stessi soldi degli uomini ma le tappe sono molto più corte, pretendono di fare le professioniste ma sono sempre per terra.

Al Tour de France Femmes torna un tema che purtroppo non smette di essere attuale: la violenza di genere

Questa è violenza di genere. E nel nostro Paese è un problema molto serio. Nel 2021 in Italia sono state uccise 109 donne, l’8% in più rispetto all’anno prima. E nei primi sette mesi del 2022 andiamo sempre forte: già 58. Che cosa c’entra con lo sport? Con il ciclismo? C’entra. Quello di cui parlavamo è parte del problema, di una società in cui la donna è un’emanazione dell’uomo, se non una sua proprietà. E comunque, diciamolo, in ogni caso inferiore. E lo sport è il terreno privilegiato dei maschi: sono loro che possono praticarlo, loro che sono legittimati a parlarne, loro che possono farne una professione. E le donne? Se proprio ci tenete potete anche farlo, possibilmente per tenervi in forma, ma senza esagerare, altrimenti i polpacci diventano grossi e non vi vuole più nessuno. Quanto a parlare o scrivere di sport, beh, lo sai che sei strana? E comunque tu cosa vuoi saperne? Le donne non capiscono il fuorigioco (dev’essere una strana conformazione del cervello che fa sì che non possano arrivarci, incredibile), figuriamoci se possono discutere una tattica di corsa. 

In Italia da anni le atlete portano sulle loro spalle lo sport nazionale, con le loro medaglie, i loro record, le vittorie e l’esempio. Ma tutte le volte che provano a sfondare quel tetto di cristallo, quella bolla dove si vogliono tenere prigioniere, ecco l’odio che le spinge giù, stai giù con la testa, sotto, non parlare. Una ricerca condotta lo scorso anno da Dazn ha rivelato che la violenza social contro le atlete si concentra soprattutto in commenti sull’aspetto fisico: il 24% del totale, il 9% per gli uomini. I maschi ricevono commenti sul loro aspetto fisico quasi esclusivamente quando postano un selfie o momenti di vita privata; le atlete ricevono commenti del genere anche quando parlano di sport. Mediamente l’11% dei commenti fatti a contenuti di atlete donne è offensivo o volgare, per i maschi la percentuale scende al 4%. Il risultato della ricerca ha detto senza ombra di dubbio che le atlete sono costantemente bersagli di violenza psicologica: molestie verbali, insulti, linguaggio volgare. Fateci caso.