AMARCORD/109 Tour 1978 senza italiani, parte il grido di dolore: torniamo alle nazionali

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Partirono in 110: c’erano ovviamente i francesi, con il nuovo fuoriclasse Hinault; c’erano i temibilissimi olandesi, i soliti belgi e le colonie di scalatori spagnoli. Quanto agli italiani, buio. Nemmeno una squadra, anzi nemmeno un corridore.

Il Tour de France edizione 1978 rese lampante quello che in fin dei conti già si sapeva: il ciclismo di casa nostra si era rinchiuso nel suo recinto, da cui usciva di rado e malvolentieri. Erano tempi così: grandi entusiasmi e interesse al Giro d’Italia, rinfocolati dalla nascente rivalità Moser-Saronni, ma scarsissima propensione per avventure “esotiche”, ancorché prestigiose.

Già l’anno prima, nel 1977, la presenza italiana al Tour si era limitata a sei gregari della Bianchi-Campagnolo, dediti soprattutto ad assistere nelle volate il belga Rik Van Linden. L’andazzo del resto era stato annunciato fin dal doloroso forfait totale del 1973, quando neanche Gimondi, secondo a Parigi l’anno prima, aveva voluto varcare le porte della Grande Boucle.

Nel luglio del 1978, mentre il Tour partiva senza italiani, Bicisport lanciò il suo grido di dolore in copertina, proponendo un rimedio drastico: il ritorno al Tour de France per nazionali. Oggi sarebbe una ricetta impensabile, ma il contesto di allora era diverso. La corsa francese aveva sposato la causa delle squadre nazionali fin dal 1930 e la formula era stata un successo. Poi, gli interessi degli sponsor avevano consigliato il cambiamento, a partire dal 1962, ma era stata una decisione sofferta, tanto è vero che nel 1967 e 1968 si era temporaneamente tornati indietro.

La fuga dal Tour durò a lungo: poi arrivò Chiappucci

In quell’estate del 1978, la formula per nazionali sembrava in grado di favorire sia il Tour, che non viveva il suo periodo di maggior splendore, sia soprattutto il ciclismo italiano, che proprio nell’era delle squadre nazionali aveva scritto le sue più belle pagine sulle strade francesi, vincendo due volte con Bartali, due con Coppi e una con Nencini.

Di lì in poi, l’ipotesi è via via sbiadita rispetto allo strapotere dei marchi; il Tour ha ripreso linfa e popolarità fino a proporsi come uno degli eventi sportivi più seguiti e sponsorizzati in campo mondiale. Quanto al ciclismo italiano, la sua assenza è divenuta in quegli anni un fatto abituale (buco totale nel 1980 e 1981), tanto che nel 1983 un successo di tappa di Riccardo Magrini fu celebrato come un’impresa da pionieri.

Per vedere un raggio di sole bisognò attendere a lungo, per la precisione fino al 1990, quando il semisconosciuto Chiappucci, mancando di un nulla il successo finale, riaccese i fari del nostro pubblico sulla Grande Boucle. E da allora fu tutta un’altra storia, per fortuna del ciclismo italiano. E anche del Tour.