TOUR DE FRANCE / TOUR mon amour: si rivede Pierre Rolland, che sogna di portare via una fuga verso la Luna

Il gruppetto dei quattro fuggitivi di oggi. Tra loro anche Pierre Rolland (foto: A.S.O./Charly Lopez)
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Tour mon amour è la rubrica di Bicisport sul Tour de France che racconta una storia, un personaggio, un frammento di ognuna delle ventuno tappe della Grande Boucle. Non necessariamente chi ha vinto o chi ha perso, ma chi ha rubato la nostra attenzione o il nostro sguardo anche solo per un attimo.


Attaque de Pierre Rolland“, gracchia radiocorsa non appena viene dato il via ufficiale della seconda tappa. Per gli avventori abituali del Tour de France, questo è il segnale inequivocabile che l’estate è arrivata per davvero. I tentativi di Rolland, infatti, fanno parte della geografia e del folklore della Grande Boucle ormai da più di dieci anni. Lo scalatore francese, alla B&B Hotels dal 2019, ha partecipato per la prima volta al Tour nel 2009. Da allora è mancato soltanto in un’occasione, proprio nel 2019, e il suo immacolato ruolino di marcia dà la misura di quanto per lui il mese di luglio sia il più importante di tutti: dodici volte ha preso il via e dodici volte è arrivato a Parigi.

Gli attacchi di Pierre Roland al Tour de France: indomabili e un po’ squinternati. Ma nel 2011 il trionfo sull’Alpe d’Huez!

In più di un’edizione, tuttavia, Rolland è stato molto più che folkloristico. Nel 2012 ha chiuso ottavo (col successo di giornata a La Toussuire), nel 2014 undicesimo, nel 2015 decimo. Ma fu nel 2011 che il suo cognome entrò per sempre nella storia del tifo francese, che ai fuoriclasse algidi e vincenti non ha mai nascosto di preferire gli attaccanti indomabili e un po’ squinternati. Anche quell’anno si arrivava sull’Alpe d’Huez. Era la diciannovesima tappa, l’ultima che Voeckler avrebbe passato in maglia gialla. Rolland, il suo gregario più valido, lo vegliò con cura e rispetto, finché l’altro gli disse: lasciami affondare, è giusto che tu faccia la tua corsa. Non se lo fece ripetere due volte: nel finale staccò Samuel Sanchez e Contador e trionfò sulla salita per antonomasia. «Non ho mai pensato di perdere – disse poi alla stampa – Non ho abbandonato al suo destino il mio capitano per arrivare secondo o terzo».

Il tempo è passato e non ha risparmiato nemmeno lui, che in quel Tour de France del 2011 primeggiò anche nella classifica riservata ai giovani. Il 10 ottobre compirà 36 anni, i suoi affondi fanno meno male di prima e la vittoria si fa corteggiare più a lungo. L’ultima delle sue dodici l’ha centrata al Tour di Rwanda dello scorso anno, la penultima e la terz’ultima risalgono addirittura al 2017: prima una tappa al Giro, poi un’altra alla Route du Sud. Nel 2016 lasciò la Europcar per la Cannondale, costringendo se stesso a imparare l’inglese, di cui non sapeva nemmeno una parola. Dopo tre stagioni decise di tornare in patria, alla B&B Hotels appunto, perché a detta sua il ciclismo è uno sport troppo duro da affrontare in un ambiente straniero, estraneo, quasi ostico.

Da diversi anni, ormai, Pierre Rolland è diventato Pierrot, maschera della commedia dell’arte nata in Italia verso la fine del ‘500. Originariamente furba e ambigua, una volta approdata nel teatro francese ha assunto altri tratti: l’ingenuità, il romanticismo, la malinconia per l’amore impossibile verso la Luna. Se potesse, Pierre Rolland proverebbe a portare via una fuga che arrivi lassù. 

Al Tour du Finistère di quest’anno, era il 21 maggio, il francese ha annunciato che se non avesse colto certi segnali positivi alla partenza della Boucle da Copenhagen avrebbe ufficializzato il ritiro dalle competizioni. Nella prima metà di giugno, invece, è andato al Giro del Delfinato e, nell’ordine, ha chiuso al secondo posto la sesta tappa, è scollinato per primo in cima al Galibier nella settima e ha vinto la classifica degli scalatori. Dei quattro fuggitivi di oggi, lui e il compagno Barthe sono stati i primi ad essere ripresi, mentre Cort Nielsen e soprattutto Bystrom sono andati molto più avanti. Ma ieri, a tutti quei giornalisti francesi che nella capitale danese lo cercavano con lo sguardo, pare proprio che Pierre Rolland non abbia annunciato un bel niente.