Ocaña, eroe tragico, oggi avrebbe 77 anni: la sua eterna caccia a Merckx è nella storia

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Luis, perché ridi così poco? Glielo domandarono spesso, nel corso della sua parabola agonistica, e lui allora concedeva un sorriso, che sul volto spigoloso sembrava una temporanea deroga alla tristezza. La storia di Luis Ocaña, che oggi, 9 giugno, avrebbe compiuto 77 anni, è quella di un eroe tragico, costretto dagli agguati del fato a vivere sempre in bilico tra grandezza e dolore.

Cadde, si rialzò ogni volta e in un decennio riuscì a mettere insieme 110 vittorie, tra cui un Tour e una Vuelta. Continuò a cadere anche dopo il ritiro, ed ebbe sempre la forza di ripartire, fino a un malaugurato 19 maggio 1994, quando si mise in poltrona e si sparò un proiettile nella tempia, poco prima di compiere 49 anni.

Spagnolo della Mancia, emigrato con la famiglia a 12 anni nel sud della Francia, Ocaña ebbe come primo avversario il padre, che non vedeva nella bicicletta un mezzo idoneo a fuggire dalla povertà. Si convinse in extremis, su un letto d’ospedale, quando Luis gli portò la sua maglia di campione spagnolo appena conquistata.

La drammatica immagine di Luis Ocaña dopo l’incidente sulla discesa del Col de Menté, al Tour de France del 1971.

A Orcières-Merlette mandò a picco il Cannibale

Quello dei primi anni Settanta era un ciclismo di giganti, spesso rassegnati allo strapotere del dio Merckx. Ocaña entrò nella schiera titanica, ma decise che battere il belga sarebbe stata la sua missione. Il loro duello fu letteratura, pathos, rischio estremo. Nel 1969 Merckx vinse il primo dei suoi cinque Tour de France; Ocaña cadde rovinosamente nella tappa del Puy de Dome ma, scortato e spinto dai suoi compagni, volle trascinarsi fino al traguardo, dove arrivò in stato di semi incoscienza.

I conti con il Cannibale erano solo rimandati. Tour 1971, nella tappa di Orcières-Merlette Ocaña si scatenò fin dalle prime salite, ignorando gli inviti alla prudenza del suo direttore sportivo. I suoi avversari si consumarono nell’inseguimento, compreso Merckx, che quasi incredibilmente andò a picco, cedendo al traguardo nove minuti.

Il Cannibale schiumò rabbia e il giorno dopo attaccò dallo striscione del via, guadagnando alla fine solo un paio di minuti. Luis aveva il Tour in tasca, ma nella tappa di Luchon, durante l’ascesa del Col de Menté, si scatenò un nubifragio. Dopo il valico, Merckx si fiondò rischiando l’osso del collo, tra fiumi di acqua viscida. Ocaña aveva un buon vantaggio da gestire ma troppo orgoglio per farsi staccare.

All’ennesimo tornante, Merckx sbandò, ma si riprese, Ocaña andò lungo e scivolò a terra. Si rialzò, ma divenne un inevitabile bersaglio per chi veniva dopo: Zoetemelk lo agganciò sbattendolo in aria, altri lo travolsero quando era a terra. Soccorso tra spasmi di dolore, fu portato in ospedale, mentre in carovana si diffondevano notizie incontrollate e tragiche, fortunatamente smentite poche ore dopo. Merckx rifiutò il giorno dopo di indossare la maglia gialla, ma non poté esimersi dal vincere il Tour. Con meno gusto del solito, però: il Cannibale voleva ribaltare la corsa senza aiuti dal destino.

Ocaña in maglia gialla: nel 1973 dominò in lungo e in largo, tanto che il secondo, Bernard Thevenet, finì a oltre un quarto d’ora.

Il destino continuò a colpirlo anche dopo la bici

Così come ebbe meno gusto l’impresa di Ocaña del 1973. Vinse il Tour, anzi lo dominò, ma Merckx non c’era e non fu la stessa cosa. In quello stesso anno, i due si trovarono di fronte al mondiale, sul circuito severo del Montjuich. Un’edizione rimasta nella storia per quanto di glorioso e torbido riservò il finale a quattro: i due belgi (Maertens e Merckx) più che altro si danneggiarono, e Gimondi imbastì la sua volata-capolavoro, mentre Ocaña si fermò al terzo posto.

Il tramonto bussò alla sua porta piuttosto presto. Nel 1977, a 32 anni, disse basta, guarda caso quasi all’unisono con Merckx, più giovane di lui di otto giorni. Il dopo fu altalenante: divenne apprezzato commentatore in corsa, ma non perse il “vizio” del rischio: nel 1979, in una gimkana automobilistica rotolò per cento metri dal costone di una montagna, perdendo l’occhio destro. Nel 1983, in un altro incidente, subì fratture al viso e al corpo.

Lo spagnolo dopo il grave incidente d’auto del 1979, nel quale perse l’occhio sinistro.

Poi, nel 1994, l’atto estremo, che lasciò un ventaglio piuttosto ampio di dubbi e ipotesi. Per alcuni, il suicidio fu motivato da un cancro diagnosticato pochi giorni prima, ma arrivarono smentite. Poi i problemi economici (era imprenditore nel campo vinicolo), ma anche questi non sembravano gravi. Quindi, i contrasti ormai insanabili con la moglie. Alcuni si spinsero perfino a negare il suicidio, visto che la tempia colpita era quella sinistra e Ocaña non era mancino. Misteri non chiariti.

Lo piansero in Spagna e Francia, ma non fu mai un campione di un paese solo: troppo francese per gli spagnoli, e viceversa. «Il mio paese è la Francia e mia moglie e miei figli sono francesi, sebbene io continui a essere spagnolo», diceva. Un groviglio non chiarito nemmeno post-mortem: nel testamento chiese che le sue ceneri venissero sparse sui Pirenei, al confine tra i due paesi. Il vento avrebbe deciso dove trasportarle.