L’esperienza belga di Lorenzo Masciarelli: «Vivo a due passi dall’arrivo del Fiandre, corro con Iserbyt e sogno l’iride»

Masciarelli
Lorenzo Masciarelli con la maglia della Pauwels Sauzen-Bingoal (foto: Davy De Blieck/Pauwels Sauzen - Bingoal)
Tempo di lettura: 4 minuti

«Più di una volta – racconta Lorenzo Masciarelli, diventato maggiorenne il 22 ottobre – mi è capitato di arrivare alle gare di ciclocross, prepararmi accanto a dei campioni come Iserbyt, che tra l’altro è anche mio compagno di squadra, e ricevere un’attenzione dai tifosi come se il fuoriclasse fossi io. Mai avrei pensato, a 18 anni e senza aver ancora raccolto vittorie sensazionali in ambito internazionale, di ritrovarmi a firmare autografi ai bambini belgi».

Da ormai un paio d’anni, la vita di Lorenzo Masciarelli è irrimediabilmente cambiata. Ha lasciato l’Abruzzo, del quale gli mancano le montagne e il mare, per inseguire il sogno di diventare un ciclocrossista di fama mondiale. Adesso vive in Belgio, a Oudenaarde, a qualche centinaio di metri dall’arrivo del Giro delle Fiandre.

Assomiglia ad un monito, Lorenzo: non ti dimenticare della strada.

«In Italia ci si innamora e avvicina al ciclismo vedendo e praticando quello su strada, come potrei dimenticarmene? Da piccolo, poi, vagheggiavo di vincere il Giro e il Tour. No, la strada non la posso proprio scordare».

Però le tue priorità si sono ribaltate: adesso dai la precedenza al ciclocross.

«Sì, altrimenti non mi sarei trasferito in Belgio. Per me, tuttavia, è una fortuna aver trovato una squadra come la Pauwels Sauzen-Bingoal anche per quanto riguarda l’attività su strada. Io dalla prossima stagione rientro tra gli Under 23 e dovrebbero farmi correre anche coi professionisti, di tanto in tanto».

Iserbyt, Sweeck, Vanthourenhout, Kamp. E tra le donne Betsema e Van Empel. Come sei entrato in contatto con una squadra così importante come la Pauwels Sauzen-Bingoal?

«Mio padre (Simone, ex professionista, fratello di Francesco e Andrea e nipote di Palmiro, ndr) si è sempre tenuto in contatto con Nico Mattan e Mario de Clercq, non proprio due sprovveduti. Quando hanno saputo che mi cimentavo nel ciclocross raccogliendo buoni risultati hanno chiesto a mio padre: perché non venite a disputare una gara in Belgio?»

Che ricordi hai di quella prima volta?

«Rimasi stregato dall’atmosfera: il percorso, l’aria che si respirava, la quantità di pubblico. Sembrava un sogno, ero stordito e spaesato. E ricordo che vidi per la prima volta anche Mathieu Van der Poel, il mio corridore di riferimento».

Perché proprio lui e non Van Aert, ad esempio?

«Sai, su queste scelte non si ha molta voce in capitolo. Infatti Van der Poel è il mio preferito, ma Van Aert viene praticamente subito dopo. Di entrambi mi colpisce la duttilità, la completezza, il talento, l’ambizione, la cocciutaggine, il coraggio. Tutto, insomma».

Come compagno di squadra hai Eli Iserbyt, fin qui sostanzialmente il dominatore della stagione in attesa del debutto di Van der Poel, Van Aert e Pidcock.

«Un altro fenomeno. Quasi mi dispiace che si parli così tanto dei tre campioni che hai citato tu, mi rendo conto che mettono in ombra tutti gli altri nonostante questi siano a loro volta degli atleti di assoluto valore». 

Lorenzo Masciarelli con la maglia della Pauwels Sauzen-Bingoal (foto: Davy De Blieck/Pauwels Sauzen – Bingoal)

Ti capita mai di chiedere qualche consiglio a Iserbyt?

«Certo, alla fine siamo compagni di squadra. All’inizio ero più titubante, col passare del tempo invece ho realizzato che alla fine sono dei ragazzi anche loro: più grandi, forti e famosi di me, certo, ma non degli androidi. Sono disponibili, sanno quand’è il momento di scherzare e di non prendersi troppo sul serio».

Consigli di che tipo, allora?

«Diciamo che mi affido alla sua sensibilità ed esperienza. Soprattutto per quanto riguarda le gomme e i cambiamenti del meteo, spesso repentini. Sono giovane, ho tutto da imparare da questi campioni».

Da quella famosa prima volta in Belgio, insomma, non ti sei fermato più.

«Praticamente no, sono salito tante altre volte per misurarmi nelle gare finché non si è creata la possibilità di venire a vivere quassù, a Oudenaarde». 

Non dev’essere stato facile.

«Per niente. All’inizio eravamo soltanto io e mio padre, mentre mia madre e mio fratello rimasero in Abruzzo. Abbiamo vissuto lontani anche durante il periodo della quarantena. Poi ci hanno raggiunto e abbiamo ripreso una nostra quotidianità. Adesso mio padre continua a dare una mano alla squadra e lavora in una fabbrica qui vicino, io l’olandese lo parlo ancora pochissimo ma in compenso inizio a capirlo abbastanza bene».

Cosa significa vivere in Belgio?

«Considera che io e la mia famiglia viviamo in centro a Oudenaarde, praticamente a poche centinaia di metri dall’arrivo del Giro delle Fiandre. Cosa posso dirti? E’ stupendo. Il ciclista è stimato, amato, compreso, tifato, rispettato. Quando vesto la maglia della Pauwels-Sauzen, abbastanza conosciuta e importante da queste parti, mi ritrovo tanti occhi addosso nonostante non sia per niente famoso».

Giusto per non farti mancare niente frequenti anche un istituto ciclistico.

«Anche quello è a Oudenaarde, non lontano da casa mia. E’ una sorta di istituto superiore dove si studiano sia le materie canoniche che l’attività ciclistica. Usciamo in gruppo per pedalare, ad esempio, e uno dei miei insegnanti è un meccanico della Education First».

Tutto questo ciclismo non ti pesa?

«Sinceramente no, è la mia più grande passione e col cognome che porto me lo sono sempre ritrovato in mezzo ai piedi. Da piccolo ho iniziato proprio così: pedalavo intorno al negozio di famiglia, non mi fermavo mai, finché un giorno mia madre per paura che finissi sotto una macchina non ha preferito affidarmi ad un direttore sportivo e ad una squadra. A quel punto tanto valeva allenarsi».

Con un cognome del genere, come dicevi, il tuo destino sembrava obbligato.

«Ma non pensate che mi abbiano obbligato, la mia passione è nata spontaneamente. Proprio come il ciclocross, che mio padre praticava alternandolo alla strada. Mi sono detto: perché no, così d’inverno non rimango fermo e magari miglioro nella guida del mezzo. Col tempo è diventato qualcosa di più: io quando pedalo nel fango mi diverto, mi diverto da morire».

Qual è la gara dei tuoi sogni?

«Di sogni ne ho quanti ne vuoi. In futuro non mi dispiacerebbe diventare un uomo da grandi corse a tappe, il Giro e il Tour continuano a stuzzicarmi non poco. Però mi rendo conto che non è mica facile, il ciclocross alla fine mi sta spingendo maggiormente verso le classiche. Il sogno più grande, tuttavia, rimane l’iride».

Nel ciclocross o su strada?

«Io direi entrambe. Mi hai chiesto cosa sogno, no? Ecco qua».