Michael Belleri, l’attaccante: «Coltivo il gusto dell’impresa come De Marchi e De Gendt»

Michael Belleri della Biesse Arvedi al Giro del Friuli
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Se le prove vanno ricercate nei fatti, ecco che la determinazione di Michael Belleri si era palesata nella nona tappa del Giro d’Italia Under 23 di quest’anno. Una caduta e le innumerevoli fatiche dei giorni precedenti gli presentavano il conto. Ma lui, caparbio e fortunato nel poter contare su un compagno di squadra come Bonelli, è andato fino all’arrivo. Ultimo, ma in pace con se stesso.

Determinato è un aggettivo che ti si addice, Michael?

«È il primo che mi viene in mente se dovessi descrivermi. Il secondo è competitivo: non sono un vincitore seriale, ma per togliermi di mezzo devono tagliarmi la testa».

Cosa significa per te essere competitivo?

«Innanzitutto conoscere i propri limiti e non pensare mai di estenderli senza misura. Ognuno deve fare i conti con quello che è. Detto questo, io ogni giorno cerco di riscoprirli e di avvicinarli. E di fare un po’ meglio del giorno prima. La competizione più bella è quella con se stessi».

Quali sono i tuoi limiti?

«Uno in particolare: non sono veloce. Per questo vado sempre all’attacco, per provare ad anticipare gli altri».

Solo per questo motivo?

«No. Attacco anche perché coltivo il gusto dell’impresa. L’idea di vincere dopo una grande azione, magari in solitaria, mi pare stupenda».

Chi sono gli attaccanti ai quali ti ispiri?

«Alessandro De Marchi e Thomas De Gendt. Per quanto ci provano vincono poco, ma quante soddisfazioni si sono tolti».

Non hai altri modelli?

«Direi di no. Quando ho cominciato, avrò avuto 13 anni, adoravo Cavendish, ovvero la mia antitesi. Infatti poi mi è passata, non mi ci rivedevo per niente, lui così veloce e io invece così lento».

E poi?

«E poi Tony Martin, al quale come caratteristiche potrei assomigliare. Sono alto 1,83 e peso 70 chili, mi definisco un passista-scalatore. Sì, sicuramente mi rivedo più in Martin che in Cavendish».

Michael Belleri della Biesse Arvedi al Giro del Friuli

Quindi cosa dobbiamo aspettarci da te in futuro?

«Non smetterò mai di andare all’attacco, sarebbe la fine della mia carriera. Mi piacciono i grandi giri, ai quali andrei con l’obiettivo di vincere la classifica degli scalatori: esattamente come ho fatto quest’anno tra i dilettanti».

Un’ottima stagione, la tua: sesto nella cronometro dei campionati italiani, primo a Santa Rita, secondo nella classifica degli scalatori al Giro battuto soltanto da Ayuso.

«Sono maturato con calma e per questo devo ringraziare anche la Biesse Arvedi e Marco Milesi: il gruppo è coeso e non ci vengono mai fatte pressioni. Peccato per la passata stagione, se fosse stata regolare adesso avrei potuto avere qualche offerta dai professionisti».

Non si muove ancora niente?

«No, ma non demordo, qualcosa potrebbe ancora muoversi. E comunque la Biesse dal prossimo anno torna tra le Continental, mi hanno già detto che per un altro anno, al massimo due, mi confermerebbero».

A quel punto dovrai fare delle valutazioni.

«Certo, non ci sono alternative. Io per ora non ci penso, non ho un piano di riserva. Però, ovviamente studiando e approfondendo, vorrei restare nel mondo del ciclismo come meccanico o massaggiatore. Essendo al quarto anno tra i dilettanti, inizio ad avere una certa esperienza».

Cosa significa, nel ciclismo di oggi, essere nati nel 1999 e doversi confrontare col precocissimo talento di alcuni corridori?

«Guarda, io so soltanto che se dovessi pensare alla carriera di Pogacar o Evenepoel non avrei tempo per costruire la mia. Sono forti, vincenti e pronti: cosa volere di più?»

Quanto durerà la loro carriera?

«Tra cinque anni inizieremo a capirlo, ma se dovesse durare meno del previsto non ci sarebbe nulla di cui stupirsi. Però non lo vedo necessariamente come un male, sul fronte opposto ci sono quei corridori che inseguono la vittoria per una vita e non la trovano mai. Non sono sicuro che vincere tanto e poi ritirarsi ancora giovani sia così tragica».

Come si può far parte di un ciclismo così performante?

«Bisogna essere professionali, motivati e consapevoli dei propri mezzi e dei propri limiti. Io, ad esempio, so che emergo alla distanza: dopo le quattro ore di gara, gli altri calano e io cresco. Quella differenza di talento che mi separa dagli altri, io la assottiglio con la resistenza e la caparbietà».