Aru non ci ripensa e manda un segnale al ciclismo moderno: «Si è persa la bellezza della semplicità. C’è troppa attenzione e pressione»

Fabio Aru al via dei campionati italiani 2021, da cui è stato costretto a ritirarsi, ha annunciato la fine della sua carriera
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Se pensavate che le discrete prestazioni in salita avrebbero fatto cambiare idea a Fabio Aru sul ritiro, vi sbagliate di grosso. Il sardo non ci sta ripensando e conferma che la Vuelta sarà l’atto conclusivo della sua carriera da professionista.

«Ogni giorno che passa – ha spiegato Aru a CyclingNews – mi convinco di aver fatto la scelta più giusta. In queste 21 tappe di Vuelta sto provando emozioni diverse, dal vento al caldo, alle dure salite spagnole. Tutto questo mi sta regalando un finale incredibile, al di là di come andrà sportivamente parlando».

Alla domanda “ti senti più libero per questo ritiro?”, Fabio sorride e scuote la testa. Effettivamente questi ultimi anni sono stati molto difficili, la pressione su di lui era enorme e i risultati non arrivavano. Ma Aru la vede diversamente…

«No, non la vedo come una liberazione, bensì come la fine di un capitolo della mia vita. Il ciclismo ha fatto parte di me per più di 15 anni e la bicicletta rimarrà sempre il mio primo grande amore. Sicuramente verrò a vedere qualche gara, magari vicino casa, però è giunto anche il momento di dedicare più tempo alla mia famiglia. Sono troppo professionale per accettare di continuare al 90%, se non dò il 200% non sono felice».

Ripercorrendo velocemente la sua carriera, Fabio passa dal momento in cui ha lasciato la sua Sardegna fino alle critiche e agli anni complicati in UAE. «Ho sofferto molto in queste stagioni, ma ho anche imparato come si sta al mondo. La vita non è solo successo, ci sono anche battute d’arresto e bisogna capire come superarle. Credo di essere diventato una persona migliore. Ho lasciato la Sardegna tanti anni fa, ero molto giovane e la mia famiglia è ancora lì, adesso ho 31 anni e sono diverso.

«Le critiche? Mi hanno ferito le parole di quelli che mi erano vicini quando ero al top e poi mi hanno attaccato nel momento di difficoltà. Solo in quel momento ho capito chi mi voleva davvero bene».

Un pensiero poi Aru lo dedica anche al ciclismo moderno, così diverso da quando lui ha iniziato a correre in bicicletta, ma anche così asfissiante e ricco di pressioni. Non è un caso che lui, ma anche Dumoulin, Sagan e Bernal, abbiano avuto molti dubbi nel continuare…

«Ho sempre fatto ritiri in altura, ma ci sono state molte innovazioni nel ciclismo. Ad esempio l’attenzione all’alimentazione, fondamentale per performare, è diventata troppo stringente. L’attenzione è massima su qualsiasi aspetto e non ti permette di sgarrare. In un certo senso rovina quello che è semplicemente il nostro sport: salire su una bicicletta e spingere forte sui pedali. C’è troppo controllo, ma ormai non si può tornare indietro».