Fabio Aru e quel rapporto speciale con la fede: «Non ci si appella a Dio solo nel momento di difficoltà»

Fabio Aru
Fabio Aru alla partenza del Giro del Delfinato 2021 (foto: A.S.O./FabienBoukla)
Tempo di lettura: 2 minuti

La vita di un ciclista, anzi di uno sportivo in generale, è ricca di alti e bassi, vittorie e sconfitte, successi e delusioni. Fabio Aru ne sa qualcosa. Qualche anno fa, dopo la vittoria della Vuelta di Spagna, dal sardo ci si aspettavano grandi cose, eppure sembra che abbia raccolto meno di quanto il suo talento poteva regalargli.

Ha passato momenti difficili, è stato criticato (spesso ingiustamente), e abbandonato da persone cui lui si fidava. In questi momenti Fabio ha avuto una costante insieme alla famiglia, la fede. Proprio in una bella intervista a Famiglia Cristiana, Aru ha raccontato il suo rapporto speciale con Dio, la forza che lo ha tenuto in piedi quando tutto sembrava cadergli addosso…

«La fede è stata importante per me tanto nelle vittorie quanto nelle sconfitte. Non ci si appella a Dio solo nel momento della difficoltà, ma occorre ricordarsi di quello che ci dona anche quando le cose vanno bene, anche quando pensiamo che il successo sia normale».

Lo scorso anno, Fabio ha avuto anche la possibilità di incontrare Papa Francesco, un’emozione indescrivibile che ha lasciato il segno. «Non è come vederlo in tv. Averlo davanti a me ha rappresentato qualcosa di eccezionale che ricorderò per sempre. Essendo cresciuto in una famiglia cattolica, per me questo incontro è stato la migliore esperienza che potessi fare. L’ anno precedente, in una tappa della Vuelta, ero caduto a 70 chilometri all’ ora. Siccome tutto andò bene, non potevo che ringraziare Dio così, anche quando il professionismo ci allontana dalla possibilità di praticare con costanza».

«Per me il rapporto con Dio non conosce limiti di tempo né di spazio. Quando vivevo a Bergamo talvolta mi arrampicavo in bici fino al santuario della Madonna della Cornabusa, un luogo incastonato sul versante di un monte nella Valle Imagna. Sono tre chilometri di scalata molto ripida, ma per me arrivare lì ha rappresentato sempre un ottimo connubio tra dimensione spirituale e passione ciclistica, anche se spesso potevo trattenermi in quella grotta naturale solo per pochi minuti.

«Non posso andare a Messa tutte le domeniche per via delle manifestazioni sportive che si svolgono sempre nel weekend, ma quando devo montare in sella conservo una mia serie di riti, dal segno della croce alle preghiere, affinché non mi accada nulla in strada. Prego, per dire, anche alla vigilia di una gara in una camera di albergo lontana da casa migliaia di chilometri».

Infine Aru ricorda un aneddoto che riassume bene il rapporto tra fede e ciclismo così profondo in lui. «La mia prima maglia da gara? L’ ho comprata nel 2003, quando giocavo ancora a calcio e mentre mi trovavo a Lourdes con mia nonna e i miei genitori. Avevamo preso il traghetto a Olbia per raggiungere Genova e poi farci in macchina oltre 3 mila chilometri, tra la Costa Azzurra, Parigi e ovviamente il santuario, dove volevamo andare in pellegrinaggio. Avevo 13 anni, ma da quella maglia è cominciato tutto, in un luogo per me molto significativo. Costò dieci euro, ma la conservo ancora. Apparentemente un semplice episodio, ma dal quale ha avuto origine la mia carriera ed è così che oggi il mio lavoro sui pedali si basa anche sulla fede. Dal ritrovare la forza dopo una sconfitta o nelle salite più dure, all’ essere sempre grato e al non dare per scontato niente di quanto riceviamo, anche quando la vita sembra una discesa facile da percorrere».