Aru, state attenti è una cosa seria

Aru con la moglie Valentina alla partenza del campionato italiano. Fabio torna alla sua famiglia
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Oggi è il giorno della riflessione, dell’analisi, delle domande e delle possibili risposte alla notizia che ieri ha lasciato tutti spiazzati: il ritiro di Fabio Aru dal ciclismo. Noi di Bicisport abbiamo sempre seguito, narrato e fotografato con grandissimo orgoglio le imprese del Cavaliere dei Quattro Mori che nonostante una ritrovata verve agonistica con risultati incoraggianti, ha annunciato di scendere dalla bicicletta. Il nostro direttore Sergio Neri approfondisce la questione e scava a fondo, nell’animo dell’uomo prima che dell’atleta. Per stargli vicino e accompagnarlo alla Vuelta, la sua ultima corsa.

Non era nell’aria l’abbandono di Aru. E per questo la decisione del corridore di troncare di colpo una carriera che negli ultimi tempi lo aveva fatto soffrire non poco, sorprende il mondo del quale egli ha fatto parte in certi momenti da autentico campione. Ma il gesto non va giudicato alla leggera.
Questo non è un abbandono. È l’epilogo di un disagio esistenziale che imprigiona Aru da molto tempo chiudendolo a chiave in un labirinto che lui frequenta non avendo in mano il filo di Arianna. Ha capito che non ne sarebbe uscito dopo aver cercato di farlo con ogni forza e ogni speranza. Non ce l’ha fatta.

Aru, il ritiro è l’epilogo di un disagio esistenziale

Non ce l’ha fatta in quanto testardamente convinto di potercela fare da solo. E da solo è giunto al doloroso epilogo di una realtà che ovviamente resterà dentro di lui come una ferita profonda. La ferita dovuta a quello che possiamo chiamare, purtroppo, un fallimento del sogno.
È sperabile che in questo momento e anche in futuro le persone alle quali Aru sta più a cuore, gli siano vicine e lo aiutino a capire che la vita è piena di fascinose e luminose finestre, verrà il giorno in cui spalancandone una Aru troverà la luce del sole. Per ora egli vive, seppure dando ad intendere che questa decisione è il felice epilogo di un suo pensiero, nell’incubo di un ritiro che gli restituisce la luce della libertà. Temiamo che non sia così.
Sulle strade della Vuelta di Spagna egli piloterà in silenzio il manubrio della sua bicicletta vivendo ben altri spiriti di quelli che alimenteranno le pedalate dei suoi avversari e questo è il male che rende molto seria la sua realtà. Volendogli bene, noi non dobbiamo sottovalutarla.
Aru è un campione che non è riuscito ad esprimersi pur avendo la forza per farlo. Forse gli è mancato il tocco di quella classe che ai fuoriclasse consente di superare momenti di sfortuna ma questo non è un torto. È una realtà che rivela la fragilità dell’uomo impigliato in una storia che gli ha negato il bene della felicità. Stiamogli vicini, è il sentimento del quale egli ha più bisogno.