Atlanta 1996, l’oro di Martinello: testa e cuore nell’inferno della corsa a punti

Silvio Martinello alle Olimpiadi di Atlanta nel 1996
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Tiratissimo, pronto, carico: mettendo le ruote sulla pista di Stone Mountain Park, Silvio Martinello era al massimo di se stesso, tanto che un minimo rinvio avrebbe potuto farlo implodere. E il rinvio, quel 28 luglio 1996, era nell’aria, vista la minaccia di pioggia che gravava sul cielo di Atlanta e dintorni.

Silvio era al termine di un percorso programmato da mesi: la corsa a punti olimpica era il suo chiodo fisso, il punto di arrivo di una bella carriera, giocata tra la strada, come braccio destro di Cipollini nei volatoni delle grandi corse a tappe, e la pista, come razziatore di sei giorni e di titoli mondiali.

A maggio era già in ottime condizioni, tanto da vincere la prima tappa del Giro d’Italia, ad Atene, e tenere per quattro giorni la maglia rosa. Un Giro che peraltro non portò a termine, un po’ per rifinire la preparazione preolimpica, un po’ perché i rapporti con Cipollini non erano più ottimali.

Il cielo trattenne la pioggia e in pista cominciò la sarabanda. La corsa a punti è semplicissima nella sua dinamica, ma terribilmente difficile per chi la vuole dominare. Si gira a velocità vorticosa e ogni tanto si sprinta per conquistare più punti possibili. E chi se la sente, può partire in caccia per guadagnare un giro sugli avversari, dote pesantissima nel computo finale.

Silvio Martinello, al centro, Brian Walton e Stuart O’Grady, il podio della corsa a punti alle Olimpiadi di Atlanta 1996

Prima dell’ultimo sprint aveva già vinto. E un mese dopo fu di nuovo campione mondiale

Martinello, favorito della vigilia, gestì la corsa (160 giri per 40 chilometri complessivi) con raziocinio fin dall’inizio, scoprendo con un certo sollievo le difficoltà dei suoi rivali più accreditati, lo svizzero Risi e il belga De Wilde. Guadagnò un giro in compagnia di altri corridori, tra cui i temibili O’Grady e Moreau, e vinse una serie di sprint nella parte centrale della gara.

Il vantaggio accumulato gli garantì un finale tranquillo, tanto che prima dell’ultimo sprint la sua medaglia d’oro era già al sicuro dall’assalto del canadese Walton e dell’australiano O’Grady, che lo accompagnarono sul podio. Alla fine, prese a bordo pista un bandierone italiano e cominciò il giro d’onore. Fu l’unica mossa sbagliata di una serata gloriosa, perché la bandiera gli si infilò tra le ruote, facendolo scivolare.

Aveva 33 anni ed era davvero al top. Lo dimostrò un mese dopo, conquistando l’oro ai campionati mondiali di Manchester, nell’americana al fianco di Marco Villa. E quattro anni dopo, ai Giochi di Sydney, sempre in coppia con Villa, sarà ancora in grado di centrare il bronzo.