AMARCORD/17 Giro d’Italia 1977, la resa orgogliosa del patriarca Gimondi. Ma c’era tempo per l’ultimo capolavoro

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«Quando il tempo è perfido, io la pago. Se dico che freddo e pioggia mi hanno condizionato dovete credermi. Io non ho mai barato». Sette giugno 1977, la resa di Felice Gimondi sul traguardo dolomitico di Col Drusciè sapeva di addio alle armi. Davanti ai cronisti, però, il campione reagiva con orgoglio, rifiutandosi di collegare a una pura questione anagrafica il quarto d’ora ceduto ai suoi avversari nel tappone dolomitico del Giro d’Italia

Del resto soltanto l’anno prima, a quasi 34 anni, aveva festeggiato il suo terzo trionfo alla corsa rosa, mostrando la solita anima di ferro e spodestando il belga De Muynck nella cronometro dell’ultimo giorno. Tutti coloro che lo avevano giudicato ormai vecchio avevano dovuto trasformare la diffidenza in applausi, tanto che alla vigilia del Giro 1977 il patriarca era di nuovo tra i favoriti. 

Ombroso come nei giorni migliori, Gimondi era parso in grado di recitare ancora una volta da protagonista, rispondendo burbero a chi gli parlava di ultima stagione: «La pianterò con il ciclismo quando mi peserà troppo». La disfatta del 7 giugno sulle rampe del Pordoi e del Falzarego era invece una sentenza inappellabile: le battaglie per la maglia rosa non erano più roba per lui. 

A Milano, dove trionfò il mite Pollentier, davanti a Moser e Baronchelli, Felice Gimondi si ritrovò 15°, a 22’59” dalla vetta. Nelle precedenti dodici partecipazioni al Giro, non era mai andato al di sotto dell’ottava piazza.

Roberto Visentini e Felice Gimondi in una foto d’archivio al Giro d’Italia 1978.

Nel 1978 guidò De Muynck al trionfo rosa. Poi l’addio

La copertina di Bicisport, nel numero di luglio, è un omaggio affettuoso, ma non profetico: non sarà quello del 1977 il Giro d’addio. Il campione si ripresentò un anno dopo, nella veste di padre nobile della Bianchi per dare vita all’ultimo capolavoro. Prese sotto la sua ala De Muynck, proprio il suo ex avversario di due anni prima, passato dalla sua parte. Lo consigliò, lo “marcò” anche a tavola per impedirgli qualsiasi eccesso, lo istruì quotidianamente sul da farsi.

Il belga capì di essere in ottime mani, seguì la rotta segnata e vinse il suo Giro. Gimondi però non si riservò solo il ruolo di tecnico in corsa, non era da lui. Nella tappa del Bondone prese ancora una volta alla gola i giovani leoni, artigliando una terza piazza quasi commovente. Quello, concluso all’undicesimo posto, sarà davvero il suo Giro d’addio.