L’impresa delle Tre Cime, il Tour ipotecato sul pavé, l’invenzione sul Poggio: così Nibali è entrato nella storia

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Le grandi imprese si preparano, si premeditano, ma più spesso si inventano. Fra le tante qualità di Vincenzo Nibali c’è proprio la capacità di autogestirsi con saggezza e acume, senza mai chiudere la porta all’improvvisazione e alle sensazioni che nascono dalla strada. È così che ha scritto pagine memorabili, sia nelle classiche che nei grandi Giri. Qui ne ricordiamo cinque, ma l’elenco è molto più lungo.

Vuelta 2010: sulla Bola del Mundo il primo giorno da leggenda

Vuelta España, penultima tappa, 18 settembre 2010. Vincenzo Nibali, 25 anni, è in maglia rossa. Non era tra i grandi favoriti, ma non si può parlare di sorpresa assoluta, visto il recente terzo posto al Giro d’Italia, vinto dal suo capitano nella Liquigas, Ivan Basso. I due ostacoli che lo separano dal trionfo finale sono Ezequiel Mosquera, che gli è rimasto aggrappato a 50”, e poi un mostro che si chiama Bola del Mundo, vetta di 2265 metri mai visitata prima dalla corsa spagnola.

La tappa si svolge in buona parte secondo le previsioni: Nibali resta incollato alla ruota di Mosquera, che ha messo i suoi davanti, in attesa dell’inevitabile attacco. Lo spagnolo ha già 35 anni e ha vinto pochissimo. Vive praticamente solo per la Vuelta, che negli ultimi tre anni ha sempre concluso nei primi cinque. Ora ha la grande occasione di vincerla. 

La sua danza comincia ai meno 4, già in piena salita. Accelera un paio di volte per tastare il polso a Nibali, poi, su una pendenza più aspra, si alza sui pedali e va via. O meglio, ci prova, perché Vincenzo organizza un’azione di recupero lucidissima, senza mai alzarsi dai pedali.

Ma la Bola del Mundo deve ancora mostrare il suo volto più cattivo. A tre chilometri dalla fine comincia un lunghissimo tratto vicino al 20%, invaso di gente. Mosquera si rialza sulla sella, Nibali dà di spalle come non mai e perde lentamente terreno. Il momento è delicatissimo: su una salita del genere, 50 secondi si possono perdere in un amen.

Mosquera fende la folla e insiste, ma Nibali sembra avere un filo che lo tiene aggrappato al sogno e riesce a mantenere il ritardo al di sotto dei 15 secondi. In realtà, fra i due è lo spagnolo quello messo peggio. La sua pedalata metro dopo metro diventa di piombo, prova ancora ad alzarsi ma ricade subito. Il vantaggio tocca un massimo di 18” poi comincia a calare.

Ai 1500 metri Nibali cambia passo e mette nel mirino Mosquera, che ormai sembra un pugile suonato. Lo prende a 200 metri dal traguardo, lo affianca, lo guarda. Poi rallenta e concede all’avversario la vittoria di tappa. Un gesto bello e “inutile”, perché qualche giorno dopo Mosquera viene dichiarato positivo a un controllo effettuato due giorni prima della tappa. Negli annali, la Boula del Mundo è giustamente nel palmares di Nibali, insieme alla Vuelta edizione 2010. 

Vincenzo Nibali in maglia rossa alla Vuelta di Spagna 2010. (foto: Yuzuru SUNADA)

Giro 2013: da solo nella tormenta delle Tre Cime

Il Giro d’Italia del 2013 non offre grandi sfide per la maglia rosa. Colpa di Nibali, che lo domina dalle prime tappe, togliendogli una parte di pathos. Lo Squalo si fa perdonare alla penultima tappa, quando invece di gestire tranquillamente i suoi 4 minuti di vantaggio, decide di onorare una vetta leggendaria come le Tre Cime di Lavaredo regalando un finale epico. 

È il 25 maggio ma sembra gennaio: neve, pioggia e vento flagellano la tappa fino alle ultime battute. L’Astana è ovviamente stretta attorno a Nibali, scortato soprattutto da Agnoli e Aru. Lo show comincia a 3 chilometri dal traguardo, quando le pendenze si fanno crudeli. Nibali allunga e sbriciola subito il gruppetto di testa. Alla ruota della maglia rosa resistono per un po’ Majka, Uran e Betancur, mentre Cadel Evans, secondo in classifica, e Scarponi entrano subito in crisi.

Nibali ha già il Giro in tasca, quello che cerca è l’impresa. Allunga ancora, rimane da solo, piomba su Capecchi, ultimo reduce della fuga di giornata, e sfida la salita tra abbondanti fiocchi di neve. Alle sue spalle è lotta aspra per il podio e per la classifica: i colombiani Uran, Betancur e Duarte sono i più brillanti, Scarponi e Evans lottano come leoni ma affondano lentamente, Aru li scavalca con un finale splendido. 

Nibali però è già altrove, insieme a Gimondi, Merckx, Fuente, Battaglin e pochi altri, legati per sempre al mito delle Tre Cime: il pericolo maggiore lo corre quando lo circondano sei-sette scalmanati, che rischiano di farlo cadere. Vincenzo è talmente padrone della situazione da scansarli con delicatezza, quasi chiedendo permesso: fatevi un po’ indietro, per favore, che vado a vincere.

Poco dopo, la sua maglia rosa sbuca dalla nebbia che avvolge il traguardo. L’indomani, a Brescia, festeggia il suo primo Giro d’Italia.

Vincenzo sulle ultime rampe delle Tre Cime di Lavaredo, una salita terribile, resa ancora più dura dal gelo e dalla neve che avvolsero il finale di tappa.

Tour 2014: sul pavé un incredibile debutto

Al Tour de France del 2014, Nibali si presenta come il terzo uomo, dietro ai grandi favoriti Froome e Contador. Le sorti della corsa si decideranno come al solito sulle grandi montagne, ma nella prima settimana c’è una tappa strana e temuta: la Ypres-Arenberg, e già nella località di arrivo c’è la ragione di ogni preoccupazione. Arenberg vuol dire pavé, che in effetti è sparso generosamente lungo il tracciato della tappa.

All’appuntamento, Nibali si presenta in maglia gialla, conquistata nell’antipasto inglese dei primi giorni. Non ha mai corso la Roubaix, una lacuna che ha tentato di colmare con qualche sopralluogo primaverile. A completare un quadro già insidioso concorre l’acquazzone che il 9 luglio, giorno della tappa, ricopre i tratti in pavé di una patina di fanghiglia scivolosa.

Ed è così che la corsa diventa un inferno di cadute, ritardi, inseguimenti e virtuosismi vari. Froome, già malconcio, cade due volte e si ritira. Contador affronta il pavé come se corresse sulle uova e rimane attardato. Nibali, a sorpresa, spiana i ciottoli come fosse nato a Roubaix e, visto il ritardo dello spagnolo, mette i suoi in testa a tirare. 

Sul penultimo tratto, l’Astana tenta l’azione di forza: Westra e Fuglsang aumentano i giri, Nibali è alla loro ruota. Specialisti epocali come Sagan e Cancellara non tengono il ritmo. Vincenzo affronta ogni curva con il coraggio che mette quando si butta giù dalle grandi vette.

La tappa finisce al cospetto della foresta di Arenberg, prima della famosa lingua di pavé che ha fatto la storia della Roubaix. L’ultimo passaggio sulle pietre, circa 1600 metri, è collocato a cinque chilometri dallo striscione. Ed è proprio all’imbocco di questo tratto che parte Lars Boom, un olandese campione di ciclocross e di equilibrismo.

Provare a seguirlo o evitare ulteriori rischi? Nel dubbio, Nibali si pone nel mezzo: non reagisce subito ma alza il ritmo, sulla scia di uno strepitoso Fuglsang. Il che gli consente di mantenere un corposo vantaggio su tutti i diretti avversari, a cominciare da Contador e Richie Porte, che ha ereditato in corsa i gradi di capitano della Sky, lasciati da Froome. 

Boom è scatenato e vola verso la vittoria, Fuglsang e Nibali arrivano dopo 19 secondi. I principali avversari sono a cavallo dei 2 minuti. Un vero capolavoro, quello dello Squalo, che (a parte una temporanea cessione al francese Gallopin, per un solo giorno) porterà la sua maglia gialla fino a Parigi, entrando nel club dei pochi eletti capaci di vincere tutte e tre le grandi corse a tappe.

Nibali in maglia gialla sulle pietre della Roubaix. Il Tour è agli inizi ma Vincenzo è già caldissimo (Foto Sunada)

Giro 2016: da Pinerolo a Risoul, la “resurrezione” rosa

Pinerolo, che nel ciclismo evoca grandi imprese, da Coppi in poi, passando per Bitossi e Saronni: da lì, il 17 maggio 2016, parte la tappa chiave del Giro d’Italia 2016. Un lungo avvicinamento al temibile Colle dell’Agnello (2744 metri), poi la discesa fino a Guillestre e la risalita ai quasi 2000 metri di Risoul, in territorio francese. 

Complice un inizio di Giro in tono minore, Nibali parte con 4’43” di ritardo dalla maglia rosa, la rivelazione Steven Kruijswijk. Lo Squalo è comprensibilmente ritenuto fuori dai giochi, anche perché l’olandese non ha avuto fin qui il minimo cedimento.

Sulla salita del Colle dell’Agnello si scatena Scarponi, che passa in vetta da solo. Nibali scollina dopo circa cinque minuti in compagnia della maglia rosa e di Esteban Chaves, che in classifica è secondo a 3′ da Kruijswijk. Vincenzo sarà anche fuori causa, ma dalla pedalata si capisce che dopo gli impacci delle prime due settimane è di nuovo se stesso. 

In più, durante la discesa dall’Agnello, accade l’imprevisto: Kruijswijk sbaglia una semicurva e si schianta sul muro di neve che costeggia la strada, scomponendosi in un brutto salto mortale. Riparte dopo qualche secondo, ma ha una costola fratturata: il suo Giro da trionfale diventa una via crucis.

In un attimo cambia tutto: Nibali ha soltanto 1’43” da Chaves, quindi la maglia rosa diventa di nuovo un obbiettivo possibile. Ne fa le spese Scarponi, fermato dall’ammiraglia dell’Astana mentre era in fuga da solo. Il suo compito adesso è aiutare Nibali a vincere il Giro.

Sulla salita di Risoul, Kruijswijk soffre e continua a perdere terreno. Nibali e Chaves si preparano al duello finale, con Nieve a fare da terzo incomodo. Tutti aspettano lo scatto del giovane colombiano, ma ai cinque chilometri è Nibali a partire due volte. Chaves resiste alla prima, cede sulla seconda. Trova l’aiuto di Nieve, ma lo Squalo ha un altro passo. 

Sul traguardo Nibali alza un dito al cielo e si commuove. La dedica è per Rosario Costa, un ragazzo della Asd di Messina, scomparso in un incidente qualche giorno prima. Chaves arriva dopo 53” e si fanno subito i conti. Ora il ritardo dal colombiano è di soli 44”. Kruijswijk arriva dopo 4 minuti, ma è teoricamente ancora in ballo, a 1’05”.

I conti saranno regolati l’indomani, sul traguardo di Sant’Anna di Vinadio: Nibali riuscirà a staccare di nuovo Chaves e vincerà il suo secondo Giro, mentre Valverde sottrarrà a Kruijswijk anche l’ultimo gradino del podio.

Giro d’Italia 2016: Scarponi e Nibali nel corso dell’ultima tappa, da Cuneo a Torino. Nel giorno di Risoul, Scarponi era in fuga da solo. Dopo la caduta di Kruijswijk fu fermato dall’Astana per aiutare Nibali a ribaltare la corsa. Missione compiuta.

Sanremo 2018: la “folle” sfida ai velocisti

«Quando mi invento queste cose non so neanch’io come faccio». Queste le parole di Vincenzo dopo la Milano-Sanremo vinta nel 2018. Un’invenzione, proprio così. Partire sul Poggio da solo e arrivare primo sul traguardo era un numero riuscito l’ultima volta a Giorgio Furlan, nel 1994. Cose di un altro ciclismo, seppellite da anni di volate di gruppo.

Il clichet sembrava riprodursi anche stavolta, visto che all’imbocco del Poggio si erano presentati più o meno in ottanta. Ritmo alto, qualche tentativo subito frustrato, ma un indizio: la Bahrain Merida di Nibali schierata nelle prime posizioni, anche se Vincenzo dirà che l’uomo da lanciare non era lui, ma Sonny Colbrelli

Fatto sta che a 7 chilometri dal traguardo, cioè dopo circa due chilometri del Poggio, scatta il lituano Neilands e sulla sua ruota salta Nibali. Un’azione potente e decisa, favorita anche dall’attendismo dei favoriti, Sagan in testa. 

Neilands dopo 500 metri è già al gancio. Si volta, chiede il cambio a Nibali, ma si inabissa ancora prima di ottenerlo. Vincenzo è solo contro tutti, ma la sua azione è potentissima. Adesso in gruppo hanno capito il pericolo e si mettono in caccia. Oss pilota Sagan, aumentano i giri anche Demare, Trentin, Van Avermaet, Matthews e Alaphilippe

L’azione solitaria dello Squalo nella Milano-Sanremo 2018. Da 24 anni nessuno riusciva a scollinare il Poggio da solo e vincere la Classicissima.

Nibali scollina con 12 secondi di vantaggio e si butta in discesa, pennellando da par suo e rilanciando continuamente. Vanno forte anche dietro e alla fine della discesa i secondi sono 9. Mantenere un vantaggio così esiguo lungo 2,2 chilometri pianeggianti con un gruppo alle calcagna è quasi impensabile. Vincenzo però ha una sola scelta: spingere a tutta e sperare. Dietro, Trentin prova la sparata ma si ingolfa subito. Gli altri si guardano per qualche secondo e rallentano, un’esitazione che si rivelerà determinante. 

L’ultimo chilometro è ad alto rischio coronarico, con il gruppo ormai scatenato che allarga le fauci e fa per inghiottire l’uomo in fuga. Nibali è ancora una volta freddissimo: ai 50 metri si volta e alza le braccia al cielo. L’unico a sapere di aver vinto è lui, gli altri trattengono il fiato. Ewan, primo dei battuti, gli arriva a non più di cinque metri.

L’invenzione del Poggio gli regala la terza vittoria in una classica monumento, dopo i due Giri di Lombardia già in bacheca. Trofei da mettere insieme a due Giri, un Tour e una Vuelta. La prossima impresa? Trovargli un erede.