Segatta: «Entro nel vivaio della Visma perché sono rimasti colpiti dalla mia completezza»

Segatta
Fabio Segatta, diciotto anni, approda tra gli Under 23 dopo il biennio tra gli juniores trascorso all'U.S. Montecorona. In foto, uno dei due successi stagionali, quello al Trofeo Prothec (foto: Montecorona)
Tempo di lettura: 4 minuti

Lo zio di Fabio Segatta correva ed era anche piuttosto bravo, ma non è grazie ai suoi pur divertenti aneddoti che il nipote ha cominciato ad andare in bicicletta. La prima gara fu in mountain bike e non aveva nome, talmente era alla buona. Si divertì, ma per iniziare a pedalare sulla strada sarebbe dovuto passare qualche anno ancora. Cominciò con la fine delle elementari.

«Nel frattempo avevo provato atletica, poi mi ero iscritto a nuoto giusto per imparare. Per due o tre anni ho giocato anche a calcio, di ruolo portiere, mi inorgogliva l’idea di poter salvare la squadra con un tuffo decisivo. Ma erano idee, appunto, e smisi. Di sport ne ho provati, ma nessuno in cui mi sia divertito come nel ciclismo».

A quando risalgono i tuoi primi ricordi televisivi?

«Al 2017, l’estate magica di Fabio Aru, prima il campionato italiano e poi, al Tour, l’arrivo in salita alla Planche des Belles Filles. Peccato che ad altissimi livelli sia durato poco, insieme a Nibali era il corridore che tifavo di più. Di Aru mi piacevano la grinta e lo scatto secco con cui, in quegli anni, faceva la differenza in salita. Per tutto il resto, però, rimango un corridore da classiche: come gusti e come caratteristiche».

Parliamone.

«La mia preferita è il Giro delle Fiandre, ma gli ultimi trenta chilometri della Milano-Sanremo sono mozzafiato. Sognare per sognare, se diventassi professionista vorrei provare a vincere le classiche monumento, compresa la Liegi, e puntare alle tappe nelle corse di tre settimane. Mi reputo un corridore completo, competitivo sulle salite che si scalano in meno di venti minuti e abbastanza veloce a ranghi ristretti. Infatti spesso mi corrono contro, scattando a ripetizione per evitare l’arrivo allo sprint; a volte mi infastidisco, ma fa parte del gioco».

Quando hai capito di poter diventare un ciclista a tutti gli effetti?

«Lo scorso anno, alla prima stagione tra gli juniores, quando mi sono reso conto di combattere quasi ad armi pari con i ragazzi più grandi di me. Non sono mai stato un vincente seriale, però allo stesso tempo i risultati non mi sono mai mancati e la mia crescita, almeno fino ad oggi, è stata regolare ed evidente. Sono alto 1,80 e peso tra i sessantatré e i sessantaquattro chili. Non saprei dare una definizione di me stesso più precisa di completo e duttile».

Una completezza che, tuttavia, a volte ti si è ritorta contro: quest’anno hai sì vinto in due occasioni, ma i piazzamenti sono decisamente di più, compresi cinque secondi posti.

«Ho molti rimpianti, non lo nascondo, tra i quali appunto proprio uno dei secondi posti, l’ultimo, al Trofeo Industria Commercio Artigianato. Volevo ripetere il successo di un anno prima e tutti credevano in me, però ero dolorante per colpa di una caduta di qualche giorno prima e alla fine ho perso in volata contro un corridore comunque veloce come Pavi. Quest’anno credo di aver scontato anche una stagione storta del Montecorona, mi è capitato spesso di dovermela vedere da solo, ma un corridore cresce soprattutto quando deve imparare a contare innanzitutto su se stesso, giusto?».

Nel 2026 sarai uno dei due italiani (l’altro è Francesco Baruzzi, ndr) a far parte del vivaio della Visma. Quando ti hanno cercato?

«Ad aprile. Pochi giorni prima avevo debuttato sui muri del Nord, nella classica di Harelbeke riservata agli juniores, e pur raccogliendo soltanto un settantesimo posto ero riuscito a transitare tra i primi sia sul Paterberg che sul Koppenberg. I dirigenti della Visma sono rimasti colpiti perché dalle informazioni in loro possesso sembravo più che altro uno scalatore, ed effettivamente alla fine del 2024 avevo chiuso quinto nella Olgiate Molgora-Ghisallo. Nelle settimane successive mi hanno invitato in Olanda, a ‘s-Hertogenbosch, per visitare il loro quartier generale, e in quella circostanza mi hanno spiegato che cercavano esattamente un corridore come me: resistente e veloce, capace tanto in pianura quanto in salita. Dalle analisi che hanno svolto su diversi corridori, è emerso che in prospettiva il più interessante sono io».

Hai mai preso in considerazione la possibilità di entrare tra gli Under 23 rimanendo in una squadra italiana?

«No, negli ultimi due anni il mio obiettivo è sempre stato quello di attirare l’attenzione delle formazioni straniere. Senza nulla togliere al movimento italiano, l’assenza di almeno un team nostrano nel World Tour rende tutto più complicato. Anche in questa stagione, ad esempio, diversi dilettanti italiani si sono dovuti accontentare o di diventare elite o di firmare con una continental straniera, e secondo me è un peccato. Entrando in una squadra di sviluppo, io credo che le chance di passare professionista aumentino. Ovviamente bisogna dimostrare di avere le carte in regola. Io speravo di convincere una development, ma non credevo che per me si muovesse addirittura la Visma».

Quello che ti aspetta non ti spaventa?

«Ho paura soltanto di non riuscire a farmi capire con l’inglese, ma mi sto dando da fare per colmare questa lacuna. In tanti stanno provando a tranquillizzarmi, dicendomi che una lingua s’impara nel momento del bisogno e a forza di parlarla. Sarà, lo spero. Per il resto, non ho niente da temere. Entro in punta di piedi in una delle migliori realtà del mondo e vorrei replicare il percorso di Mattio, che ho già avuto modo di conoscere e che ringrazio per i preziosi consigli: cercherò di crescere un passo alla volta e di approdare nel professionismo nel giro di tre anni».

Quando cominciano i ritiri invernali?

«Dal 16 al 19 novembre ci ritroveremo in Olanda, diciamo per conoscerci meglio. A dicembre, invece, andremo in Norvegia per fare sci di fondo. A gennaio e a febbraio i classici ritiri in Spagna, e a marzo finalmente si dovrebbe cominciare a correre. Difficilmente sarò al Giro Next Gen, in quei giorni avrò gli esami di maturità. La scuola non mi dispiace, ma se devo essere sincero preferisco il ciclismo, e quindi una volta diplomatomi credo proprio che concentrerò tutte le attenzioni sul ciclismo».