Ad ottobre, Antonio Bevilacqua ha confermato a Francesco Della Lunga che sì, effettivamente qualcosa si stava muovendo, ma che il nuovo progetto che avrebbe riguardato la Colpack non era ancora stato definito. Le due parti, Della Lunga e la Colpack, si sono lasciate dopo quattro anni senza particolari strascichi: ognuno con un’idea diversa di futuro.
«Con Antonio parlai chiaro – racconta Della Lunga – Gli dissi che volevo cambiare squadra perché cercavo altri stimoli. L’ambiente è stato molto gentile nei miei confronti e per me è questo quel che conta. Io sogno sempre di passare professionista, quindi chissà, se il prossimo anno la Colpack dovesse davvero diventare una professional magari ci ritroveremo».
Per inseguire un contratto nella massima categoria hai scelto l’Hopplà di Provini. Che impressione ti ha fatto?
«La fama lo precede. Mi avevano avvertito: non ha mezze misure, o con lui oppure contro di lui. Sarò sincero, io credo che Provini abbia una personalità complessa, non necessariamente difficile. Sa essere duro, è vero, ma la vita non è tutta rose e fiori: ci sono anche dei momenti in cui non essere duri è quasi impossibile. Il suo ruolo prevede di alzare la voce e di avere polso. Per il momento procede tutto per il meglio, quando cominceranno le gare impareremo a conoscerci ancora di più».
Nella tua preparazione è cambiato qualcosa?
«Inevitabilmente sì, perché ognuno ha le sue teorie e i suoi metodi. Se alla Colpack si prediligeva la distanza ad un’andatura più blanda, con Provini si lavora maggiormente sull’intensità. Abbiamo sempre la catena in tiro, affrontiamo le salite a ritmo sostenuto e una volta in pianura non è che ci mettiamo a chiacchierare: giriamo in doppia fila, pedaliamo dietro macchina. Rispetto a quando correvo nella Colpack, complessivamente mi alleno qualche ora in meno. Ma non ci sto dietro più di tanto: vincevo alla Colpack e spero di tornare a farlo con Provini».
Cosa ti manca? Nella seconda parte della passata stagione hai corso soltanto un paio di giorni, prima di ritirarti dal Giro del Friuli.
«Facendo i debiti scongiuri, devo dire che l’inverno sta trascorrendo serenamente. Mi sono concesso soltanto qualche giorno a Praga per il compleanno della mia fidanzata, per il resto mi sono concentrato sulla preparazione. Finalmente la mononucleosi sembra essersene andata, non ho più le cattive sensazioni dello scorso anno, quando mi sentivo vuoto. Però per tornare competitivo avrò bisogno di tempo, si capisce. Dovrei debuttare il 24 febbraio alla Firenze-Empoli, allora saprò essere un po’ più preciso».
Sei il vincitore uscente.
«Ma riconfermarsi sarà dura, se non impossibile. Manca più di un mese e tutto può succedere, non parto arreso, ma il ciclismo impone d’essere realisti: negli ultimi tempi ho corso pochissimo e sono reduce da un virus che mi ha debilitato sul serio. Sento che il colpo di pedale sta tornando piano piano quello dei giorni migliori, ma non posso pensare di schierarmi al via della Firenze-Empoli con le stesse aspettative di un anno fa, quando partii per vincere. No, non sono preoccupato: avrò davanti un’intera stagione per provare a rifarmi».
In quali gare?
«Intanto vorrei tornare a correre e ad avvertire certe sensazioni. Da lì, il passo successivo sarebbe sbloccarsi: non importa dove. Dopodiché, se proprio devo citare qualche gara, allora dico la Popolarissima, in cui sono arrivato secondo sia nel 2022 che nel 2023, e il Circuito del Porto, altra classica riservata ai velocisti che lo scorso anno ho chiuso al quarto posto. Essendo un elite che milita in una continental, approfitterò anche delle gare regionali: non tanto per fare incetta di successi, sono perfettamente consapevole che non sono quelle le corse in cui potrò guadagnarmi il professionismo, ma per ritrovare confidenza specialmente all’inizio con certe dinamiche tecniche, mi riferisco ai movimenti del gruppo e alla guida del mezzo».
A proposito di volate, lo sprinter di riferimento sarai tu?
«Io e Pongiluppi, direi. Vedremo via via come organizzarci. Se c’è una cosa che ho imparato andando in bicicletta, è che nel ciclismo serve lo spirito di adattamento: è raro che una gara vada come si vorrebbe, o come si era deciso durante la riunione alla partenza. Di positivo c’è che abbiamo diversi validi corridori pronti a supportarci. Una specie di treno, se vogliamo dirla in gergo. Penso a Belleri, a Manenti, a Bozicevich, a Montanari. Il gruppo è affiatato e coeso, sono convinto che ci toglieremo delle belle soddisfazioni».
Che differenze ci sono tra te e Pongiluppi?
«Lui è più alto e più robusto di me, quindi si potrebbe pensare che dei due il velocista puro sia lui, ma in realtà l’ho visto superare bene anche certe salite non troppo impegnative. Secondo i test a cui ci siamo sottoposti, in termini di picco di potenza ho qualcosa in più di lui. Ma si torna a quello che ho detto poco fa: io e Pongiluppi vinceremo diverse gare se sapremo adattarci all’andamento della gara e se saremo onesti l’uno con l’altro, parlandoci col passare dei chilometri e stabilendo via via chi sarà il velocista per cui lavorare. Andremo bene, non ho dubbi: io e Matteo sappiamo di essere le due frecce della squadra e tra di noi si è già instaurato un bel feeling».














