Splendida intervista di Carlos Arribas di El Paìs a Chris Froome, 38 anni, vincitore di 4 Tour de France prima che la sua carriera andasse a schiantarsi contro un muro mentre provava la cronometro del Dauphiné Libéré 2019. Froome da allora ha lasciato la Ineos, la squadra dei suoi trionfi, e ha firmato per la Israel. Arribas lo ha incontrato al critérium organizzato dal Tour a Singapore, dove Chris si è divertito con la moglie e i due figli all’hotel Mandarin Oriental. Continuerà a correre, assicura, per altri due anni, ma ha accettato l’idea che non vincerà mai il quinto Tour. «Mi piacerebbe partecipare nuovamente al Tour de France. Mi è dispiaciuto molto che la squadra non mi abbia selezionato l’anno scorso, ma quella frustrazione mi ha costretto a riflettere. Qualcosa non funzionava in me. Mi faceva molto male la schiena. Ho visto che con le Israel correvo più allungato, con le sella tre centimetri più indietro, una stupidaggine. Ed è lì che è sorto il mal di schiena».
Molte persone, ha raccontato Froome, gli chiedono perché continua a correre. «La risposta è semplice. Adoro il ciclismo. Adoro pedalare e correre. Mi sono divertito di più quando ho vinto, ovviamente. La scarica di adrenalina, le belle sensazioni che derivano dal successo. Era un sogno vincere una corsa come il Tour, e il piacere che porta, ma amo continuare a pedalare, amo far parte di una squadra con un obiettivo e una visione condivisi, ma anche se non alzo più le mani per vincere, essere un ciclista è ancora vivere un sogno».
Froome nega che sia l’unica cosa che sa fare nella vita. «Questo è un modo negativo di vedere la cosa. Sicuramente no. Non mi aggrappo allo sport in questo senso. È una passione e anche se non vinco non cambia. Geraint Thomas è un buon esempio. C’è solo un anno di differenza tra me e Geraint, siamo della stessa generazione. E quest’anno ha quasi vinto il Giro. Corro con l’amore, non senza l’ambizione. Ecco perché soffro la frustrazione quando non arrivo dove voglio. Continuo a cercare di migliorare ogni giorno, chiedendomi perché ciò che dovrebbe funzionare non funziona. Voglio tornare al Tour ed essere davanti nelle grandi tappe quando si selezionail gruppo, quando rimangono pochi uomini in salita, o lottare per una vittoria di tappa o anche per un buon posto nella classifica generale… Quello sarebbe il sogno».

Non ci sono stati momenti di depressione dopo l’incidente. «Ma ci sono stati giorni molto difficili in cui pensavo che non avrei mai più corso. Ho passato molti mesi a letto, incapace di muovermi. Ho dovuto imparare a camminare. Era difficile. È stato estremamente frustrante. E non è stato facile. Non potevo nemmeno andare in bagno da solo. In ospedale mi ha aiutato un’infermiera, ma a casa doveva farlo mia moglie. E ci sono cose che un partner non dovrebbe fare. Come portarti in bagno. Ci sono stati dei periodi bui. Non sono riuscito nemmeno a camminare correttamente per più di sei mesi. Ci sono stati momenti di dubbio e momenti di ansia. Ho fatto molti sforzi per trovare la motivazione. Dubitavo se continuare oppure no. Ma oggi, seduto qui, sono molto felice. Penso che sia molto importante che abbia deciso di competere di nuovo».
Dell’incidente non ricorda nulla. «Puoi perdere il controllo molto facilmente. Alcune bici da cronometro sono estremamente pericolose. Vuoi essere il più aerodinamico possibile e vai con le mani sui freni, in una posizione molto estrema e con la testa bassa a tutta velocità. Non guardi nemmeno dove stai andando. Non è uno sport qualunque, è molto pericoloso, ma è un rischio che noi professionisti corriamo e finché non prendiamo un colpo del genere non ci rendiamo conto di quanto siamo fragili. Andiamo a 80 all’ora con la sola protezione di una leggerissima maglia e pantaloncini. Facciamo cose pazze, ma è ciò che rende il ciclismo così spettacolare».

Arribas gli ha chiesto se pensa che Egan Bernal, che ha subito lesioni simili, tornerà ad essere quello di prima. «Egan è molto più giovane di me e raggiungerà nuovamente un livello molto alto. Ma sarà difficile. È difficile dopo un grosso incidente. Ogni anno che passa sarà sempre più difficile per te. Anche lui era su una bici da cronometro quando è caduto. Immagino che non abbia visto l’autobus. Un corpo non può riprendersi al 100% da un incidente del genere. Ci sono sempre cicatrici. E l’equilibrio muscolare tra il lato sinistro e quello destro non viene mai recuperato. Zoppichi quando cammini…».
Infine la guerra. Oggi Froome indossa la maglia di Israele ma non vuole parlare di quanto sta succedendo in Medio Oriente. «Non è qualcosa che intendo approfondire qui. Lavoro per una squadra in Israele, ma questo è un ambiente sportivo e non entrerò in politica. Ciò che sta accadendo in questo momento è estremamente tragico, ma non credo sia argomento di discussione qui».