Per molti appassionati di ciclismo Borgo Valsugana è un nome che può suonare conosciuto, visto che è il paese che ha dato i natali a Matteo Trentin, da anni uno dei rappresentati di spicco del movimento azzurro. Dallo stesso borgo (meno di settemila anime) è pronto ad emergere Marco Andreaus, Ctf-Victorious, che sulle orme del corridore della UAE Team Emirates sta provando a farsi strada.
«Ho iniziato a correre molto presto, a soli 6 anni, perché c’è una squadra proprio qui a Borgo e ci andava un mio amico che è parente di Trentin. Inizialmente lo facevo principalmente perché mi piaceva vincere le coppe, ma ben presto è diventata una passione».
Conosci di persona Matteo? Sei mai riuscito ad allenarti con lui?
«Sì, conosco bene sia lui sia suo fratello Daniele, che ora non corre più. Trentin lo incontro almeno una volta l’anno, perché ha iniziato a correre da piccolo nella mia stessa squadra e il team ha la tradizione di fare a fine stagione una festa dove invita quei corridori che hanno militato nelle sue fila. In quelle rimpatriate Matteo non manca mai e io sfrutto l’occasione per parlarci e apprendere qualche consiglio. Però da più giovane qualche pedalata insieme c’è scappata».
Hai sempre e solo corso o hai anche altre passioni?
«Io amo sciare. Fino ai 13/14 anni ho fatto sci alpino a livello agonistico, conquistando anche qualche gara. Crescendo ho dovuto scegliere, ma la passione per questo sport è rimasta. Quando posso mi piace andare in montagna».
Tu sei alla seconda stagione tra gli Under 23 con il Ctf-Victorious. Come mai hai scelto questa squadra? Come ti stai trovando?
«Mi trovo benissimo con il team e non lo cambierei per nessun motivo. Sono arrivato da loro tramite il mio procuratore e la prima volta che ho incontrato Renzo Boscolo è stato agli europei di Trento del 2021. Lì ho capito subito che questa squadra era il posto giusto per me, anche perché ne parlavano tutti benissimo e una volta iniziato a gareggiare per loro ho capito perché».
Sei nato in una zona dove il ciclismo è molto diffuso: non solo quello su strada, ma anche la mountain bike. Hai mai pensato di fare la doppia disciplina?
«Non ho mai fatto gare, ma ho la mountain bike elettrica. Quindi quando ho un momento libero mi faccio volentieri un giro. Non ho voluto fare la doppia disciplina perché avrei dovuto iniziare da piccolo, ma facevo già sci agonistico e il calendario di mountain bike combaciava. Ma visto che in estate correvo, l’inverno volevo staccare e cambiare sport».
Se ti dovessi descrivere, che ciclista sei?
«In squadra mi definiscono un all-rounder, perché sono capace di incidere un po’ ovunque e sono abbastanza completo. Nelle categorie minori ero un discreto finisseur, ho un ottimo istinto per comprendere il momento giusto per muovermi. Infatti gran parte delle mie vittorie sono arrivate in solitaria. Però tra gli Under 23 mi è capitato troppo spesso di partire presto e ciò mi è costato più volte la vittoria».
La scorsa settimana hai chiuso quinto al Liberazione. Com’è andata la corsa?
«Venivo da un inizio di anno complicato, perché avevo sempre fatto belle gare ma senza raccogliere mai risultati di livello. Poi alla Gand ho avuto anche dei problemi al ginocchio che successivamente mi hanno costretto a saltare qualche corsa. Quindi sono tornato in sella al Belvedere, dove mi sono giocato anche il sesto posto, ma i crampi negli ultimi chilometri mi hanno fregato. Però stavo bene e avevo una buona condizione. Infatti al Liberazione, più adatto alle mie caratteristiche, ho dato il massimo. Peccato per quella fuga uscita all’inizio. Quando ho visto che avevano due minuti di vantaggio a quaranta chilometri dall’arrivo ho deciso di attaccare in prima persona. Allora siamo rimasti in sette, anche se col passare del tempo sono rientrati una decina di corridori. Però non c’era collaborazione, non tutti volevano tirare e non siamo mai andati sotto i trenta secondi di svantaggio dai primi due. Io non sono un velocista, ma nelle volate ristrette me la cavo. Quindi ho preso l’ultima curva davanti e mi ha passato solo Epis».
Obiettivi e gare future?
«Dopo un buon Giro dei Carpazi andrò in Belgio, corse forse un po’ troppo dure per me, ma voglio testarmi su quei tracciati. Da qui a fine anno non ho un obiettivo preciso, ma vorrei assolutamente conquistare una gara o una tappa di una gara su più giorni. Io ho sempre vinto, ogni anno in cui ho corso, tranne lo scorso. Quindi è troppo tempo che manca il successo e voglio rimediare».
In questi due anni da Under 23 hai corso molto in Belgio. Potresti essere un corridore da classiche del Nord?
«Secondo me sì. A me piace molto correre lì, sono uno che va forte nelle gare nervose e dove si deve fare a spallate per prendere e mantenere la posizione».
Saresti più tipo da Ardenne o da Fiandre?
«Penso più da Fiandre. Le prime hanno troppo dislivello per me. Io sono abbastanza pesante e preferisco le salite corte ed esplosive, piuttosto che quelle lunghe e nelle quali bisogna salire di progressione».
Una corsa che tra i professionisti vorresti vincere e una che ti “accontenteresti” anche solo di correre?
«Che vorrei vincere le Strade Bianche. È la mia corsa preferita. Da junior ho preso parte all’Eroica, che è la versione di categoria della Strade Bianche e ho trovato un bel feeling su quello sterrato. Quindi spero di poterci tornare da protagonista una volta professionista. Mentre quella che vorrei assolutamente correre è la Parigi-Roubaix».
Quindi sei un corridore che propende per lo sterrato?
«Assolutamente sì. A me piacerebbe anche tanto fare le gravel, corse come la Serenissima. Anche questa disciplina più come svago che come alternativa reale alla strada, esattamente come la mountain bike. Però mi affascina molto correre questo genere di corse, soprattutto per staccare un po’ dalla strada e non fare sempre la stessa cosa».