Filippo Ganna è un bel tipo: diretto, sincero fino all’osso, assolutamente mai banale. Leggendo la bella intervista che ha rilasciato all’Equipe, abbiamo sorriso: quando Filippo ce l’ha con una prova che lo aspetta, è un buon segno. È successo con il Record dell’ora, succede adesso con la Parigi-Roubaix. Prove che è lui stesso a mettersi davanti. Perché come tutti i campioni Filippo ha una personalità fuori dal comune, ed è attratto dal fascino della storia del suo sport, dal peso della tradizione e dalla necessità di mettersi alla prova. Gli piace sfidarsi e poi vincere quella sfida, ingrassare il curriculum, mettere il proprio nome nell’albo d’oro (ovviamente senza asterischi, perché altrimenti non c’è gusto), battere record (sapendo che un giorno qualcuno batterà lui, ma questo è il prodigio del tempo). In sintesi: passare alla storia.
Andiamo a ripescare vecchi taccuini di appunti, quello che cercavamo è dell’agosto 2020, alla vigilia del campionato italiano a cronometro (vinto) a Cittadella. La domanda (banale, d’accordo) era sul record dell’ora, eterna pietra di paragone tra Filippo e i suoi predecessori. Francesco Moser, per esempio. La risposta è sottolineata due volte. «Io vi prenderei in quattro o cinque e vi porterei in pista a correre per un’ora a tutta. Poi quando sentite il mal di gambe smettete di chiedermi del record. Io per adesso non ce l’ho proprio in mente».
Due anni più tardi, o poco più, aspettavamo l’ora più luminosa di Ganna al velodromo di Grenchen, in Svizzera: al livello del mare, dunque senza asterischi. Prima di cominciare quell’esercizio da fachiro, prima di appollaiarsi sulla sua bicicletta da sessantamila euro e di percorrere quei 56 chilometri e 792 metri, Filippo aveva provato a spiegare a parole quello che aveva in mente. Non era alla ricerca dei suoi limiti, frase ormai abusata che sta bene su tutto: lui pensava piuttosto a quella faccenda della storia, e dell’immortalità. Disse che voleva avvicinarsi ai miti che si erano confrontati col record dell’ora prima di lui. Gli italiani: Coppi, Moser. E gli altri: Merckx, Wiggins.
«Vorrei poter dire di avere qualcosa in comune con loro». Ma con un certo disincanto. «Un giorno arriverà un altro Filippo, o un altro non so chi, che mi batterà. Vorrà dire che bisognerà farlo bene in modo che resista almeno un po’». Dopo, appena sceso di bici, ebbe ancora la forza di parlare. «Mai più, mai più una fatica così orrenda. Negli ultimi dieci minuti pregavo soltanto che finisse».
Gli appunti sono disordinati sugli scaffali, ma a cercare con attenzione qualcosa si trova. Per esempio quella volta che con Filippo avevamo parlato del lato romantico del ciclismo, «ma quale romanticismo, io ci vedo solo tanta fatica, tanti sacrifici». Lui non è di quelli che ti raccontano quanto sia meraviglioso fare fatica. Si aggrappa alla scienza. «In alcuni momenti può essere anche bello, rilascia endorfine, ma quando vado troppo tempo fuori soglia le gambe mi fanno male, i polmoni sono pieni d’aria, quando il cuore arriva a 197 pulsazioni non so neanche più come mi chiamo».
Ganna è accompagnato da una maledizione. C’è sempre qualcuno che lo vorrebbe diverso da quello che è. Come se non fosse abbastanza così. Un oro olimpico. Una collezione di maglie arcobaleno, la maglia rosa. Il record dell’ora. A ventisei anni, vale la pena sottolinearlo. Eppure c’è sempre chi gli chiede di più: ora la Roubaix, domani sarà la maglia gialla, il Fiandre, ovviamente la Sanremo, a maggior ragione dopo che è arrivato secondo tenendo testa a Pogacar sul Poggio e battendo Van Aert in volata.
Lui, uno dei pochi ad avere il coraggio di presentarsi al via di una grande corsa senza nascondere che è lì per vincere, può difendersi soltanto dicendo la verità.
La Roubaix? Sente di doverci provare, di avere il physique du rôle, eppure non ci racconta balle. «Com’è stata la ricognizione? Direi come la corsa, è davvero una merda… Il pavé non lo capisco, la gente dice che la Roubaix è una gara fantastica, ma non si può dire così. Tra i corridori nessuno può dire che sia una bella gara. Devi essere un po’ pazzo».
Questa è la sua verità. E poi c’è la ragione per cui la vuole correre, e vincere. «Non lo so, ma stranamente ogni corridore vuole fare la Roubaix. È una motivazione personale, che riguarda tutti, si tratta di scrivere la propria storia. Come i grandi campioni del passato, come Francesco Moser, Eddy Merckx». Ci risiamo. Il confronto con il passato, con i miti, con la storia del suo sport. In questo rispetto per il ciclismo, in questo volergli fare omaggio, mettendo il proprio talento al servizio della prossima sfida, c’è tutta la grandezza di Filippo Ganna. Che vinca o no domenica. Ci sarà sempre un’altra sfida per superarsi.












