Zanini senza peli sulla lingua: «Non sono all’Astana Development su raccomandazione di mio zio»

Zanini
Simone Zanini dell'Astana Qazaqstan Development (foto: SprintCyclingAgency)
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Siccome non ha voglia di usare parolacce per descriversi – anche se questo, va detto, gli risparmierebbe la fatica di trovare dei termini più ricercati – Simone Zanini è costretto a pescare dalla cesta degli aggettivi più consumati: determinato, ambizioso, disposto a (quasi) tutto pur di raggiungere l’obiettivo.

«E un po’ nervosetto, un po’ per indole e un po’ perché sono ancora un ragazzo e devo imparare a stare al mondo. Pensa che una volta mi ha dato talmente fastidio l’atteggiamento di un mio compagno di squadra che non riuscivo più a pedalare. Faceva il galletto, rispondeva a tono e io ho perso la testa. Intendiamoci, non gli ho torto un capello, ma mi sono innervosito così tanto da non avere più il controllo sul mio corpo. Un’esagerazione, me ne rendo conto. Infatti credo d’aver imparato la lezione: ci sarà sempre qualcuno che mi farà innervosire e io non posso affidare il mio equilibrio agli altri. E poi sulla maglia c’è scritto il nome della squadra, la figuraccia a quel punto la fanno pure loro».

Simone, da quest’anno sei tra i dilettanti con la maglia dell’Astana Development: vietato sbagliare.

«Assolutamente. E’ una chance importante e io dovrò approfittarne per capire se il ciclismo può essere o meno il mio lavoro. Ho soltanto diciott’anni, alla fine. Quest’anno mi diplomo all’alberghiero, bar e sala. Se decidessi di continuare a studiare, però, andrei sulla psicologia: mi piace capire cosa pensano e come ragionano gli altri. Un’idea ambiziosa, ma nobile».

Quando ti ha cercato l’Astana?

«D’estate. Un giorno mio zio Stefano mi dice che Maurizio Mazzoleni, il capo degli allenatori della formazione professionistica, avrebbe avuto piacere a scambiare due chiacchiere con me. E così abbiamo fatto. Il problema è che il loro parere definitivamente positivo è arrivato tardi, tant’è che io stavo per accordarmi con un’altra squadra per paura di rimanere a piedi».

Stefano Zanini, zio di Simone e attuale diesse dell’Astana-Qazaqstan

Per il momento come ti stai trovando?

«Con lo staff bene fin da subito, sin dal primo ritiro in Spagna. Ci sono parecchi italiani e quando si parla la stessa lingua è tutto più semplice. Con gli altri corridori, invece, all’inizio abbiamo fatto fatica. Non ci si conosceva per niente e le provenienze erano differenti: Kazakistan, Spagna, Ecuadoe, Russia, Colombia. L’unico azzurro oltre a me è Toneatti. Ma adesso le cose vanno meglio: io in inglese non sono una cima e devo migliorare, ma ho scoperto che anche all’estero non sono molto più bravi di noi».

Tra i direttori sportivi c’è anche tuo zio, Stefano. Che rapporto hai con lui?

«Ottimo, da sempre. E’ anche grazie a lui se ho scelto il ciclismo. Pedalavano mio fratello e mio padre, e ovviamente più di tutti pedalava mio zio. Mi dà parecchi consigli: succede spesso che io poi faccia di testa mia, ma lo ascolto sempre attentamente e volentieri. Il più prezioso è stato il primo, ormai diversi anni fa. Era una pedalata di famiglia, c’erano lui, i miei cugini e mio fratello. Su ogni salitella perdevo contatto e mi dannavo l’anima per rientrare, finché mio zio si è lasciato sfilare per spiegarmi che nel ciclismo ognuno ha il suo ritmo e che si può rientrare anche in un secondo momento. L’unica cosa da evitare è rimanere senza energie, quello che stava per succedere a me quel giorno».

Cosa gli invidi?

«Questa è facile: lo spunto veloce, dato che io in volata sono praticamente fermo. E poi due vittorie su tutte: la volata dei Campi Elisi e ancora di più l’Amstel Gold Race. Nel 1996 è stato il primo italiano a vincerla, una bella soddisfazione».

Davide Toneatti è insieme a Simone Zanini l’unico italiano dell’Astana Qazaqstan Development

E’ la tua classica preferita?

«No, quella è il Giro delle Fiandre. Mi ha sempre affascinato, è una corsa unica, passa da stradine e paesini meravigliosi. Ha un che di selvaggio. Però rimango uno scalatore, non mi metto strane idee in testa. Sono alto 1,75 e peso 60 chili, e più una salita è lunga e più mi piace. Voglio ascese vere, o quantomeno strappi impegnativi».

La salita ti piace oppure è soltanto il terreno in cui ti difendi meglio?

«La adoro, altroché. Mi piace essere isolato e concentrato, mi piace la soddisfazione che si prova quando si arriva in cima, mi piace che ogni scalata sia una sorta di sfida a eliminazione, chi si stacca e chi attacca senza successo, e poi si contano i superstiti. Ma se proprio dovessi dare una definizione di me stesso, sarebbe scalatore-gregario: quando non mi sento bene, oppure quando la corsa non è adatta alle mie caratteristiche, non ho problemi a mettermi a disposizione dei miei compagni di squadra».

Dallo scorso anno, il tuo secondo tra gli juniores col Canturino, hai cambiato passo. Cos’è successo?

«Ho iniziato ad allenarmi e a correre come si deve. Fino ad oggi la mia crescita è stata lenta e costante, e fin dalla prima stagione nella categoria lavoravo per raccogliere risultati nella seconda. Ho passato un ottimo inverno, senza intoppi e concentrato sui risultati che volevo ottenere. Desideravamo cominciare bene l’annata e mantenere un ottimo stato di forma dall’inizio alla fine, direi che ci siamo riusciti. Muscolarmente mi sto formando sempre di più, quindi mi auguro di procedere in questa direzione».

Appunto, quali sono gli obiettivi di questa stagione?

«Sarò sincero, non conosco ancora con precisione il mio calendario, quindi non voglio sbilanciarmi. Intanto voglio diplomarmi con un buon voto. Pensando alle gare, cercherò di imparare il più possibile e magari di centrare qualche bel piazzamento. Iniziano a darmi fastidio certe voci: si dice che io sia un raccomandato, che l’Astana mi abbia preso soltanto perché mio zio è uno dei direttori sportivi e ha un cognome pesante. Ecco, smentire queste malelingue è il mio obiettivo principale. Voglio lasciare il segno, se non si fosse ancora capito».