Boscaro ha le idee chiare: «Ormai scommetto sulla pista, ma vincere la Popolarissima con la Colpack sarebbe bello»

Boscaro
Davide Boscaro al campionato italiano Keirin 2021 (foto: Rodella
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Per essere arrivato al ciclismo per caso, entrando in un negozio di biciclette col padre per acquistarne una e sentendosi chiedere se per caso avrebbe voluto provare a correre con una squadra della zona, a Davide Boscaro non è andata male. Uno dei suoi due idoli d’infanzia, Elia Viviani (l’altro era Sagan), è diventato un compagno in nazionale, quella della pista guidata da Marco Villa.

«Sagan lo ammiravo perché era Sagan, non c’è molto altro da dire. Per anni è stato il numero uno al mondo per vittorie, seguito e spettacolo, era difficile non innamorarsene. Viviani, invece, lo ammiravo perché era veneto come me, lui Isola della Scala e io Villanova, provincia di Padova, e soprattutto perché il suo punto forte era la volata, proprio come per me».

Quando hai capito di essere uno sprinter?

«L’ho sempre saputo. Le prime vittorie importanti cominciarono ad arrivare quand’ero juniores, è lì che ho fatto un salto di qualità. Mi reputo un corridore veloce e abbastanza forte sul passo. Mi aiuta anche il fisico, plasmato dalla pista: sono alto 1,81 e il mio peso oscilla tra i 78 e gli 80 chili».

E’ in volata, infatti, che hai conquistato le tue vittorie tra gli Under 23. Da quest’anno sei l’unico elite della Colpack.

«E’ la mia quarta stagione con loro e devo dire che mi sono sempre trovato molto bene. E’ vero, il tempo è passato in fretta e adesso sono l’atleta più vecchio della squadra. Sinceramente non mi pesa, sono consapevole di avere certe responsabilità ma allo stesso tempo conosco l’ambiente e so quello che bisogna fare per raccogliere certi risultati».

Ma il tuo futuro sarà su pista o su strada?

«La Colpack lo sa, ormai punto più sulla pista. Il mio ingresso nelle Fiamme Azzurre non è stato casuale. Fino al primo biennio tra i dilettanti sognavo ancora il professionismo su strada, ma ho capito che sarebbe stato difficile riuscirci e la pandemia non mi ha certamente aiutato. Anzi, mi ha aiutato in maniera collaterale, facendomi capire che era più conveniente scommettere sulla pista».

Quindi come dobbiamo interpretare la tua presenza nell’organico della Colpack?

«E’ una delle formazioni giovanili più importanti al mondo, quindi cercherò di onorare la maglia meglio che posso. Da una parte, come fanno Scartezzini e Lamon, sfrutterò gli appuntamenti sulla strada per accumulare fondo e chilometri in funzione della pista, ma dall’altra mi farò trovare pronto per sfruttare ogni occasione che dovesse presentarsi. Ad esempio, prima o poi sarebbe bello se riuscissi a vincere una classica prestigiosa come la Popolarissima».

Se ripensi al passato hai qualche rimpianto?

«No, nessuno. Sono convinto e contento della decisione che ho preso e della direzione che ho imboccato. Certo, anch’io ho sognato di partecipare alle classiche del Nord e alla Milano-Sanremo, la mia preferita. Mi sarebbe piaciuto far parte del gruppo che imbocca il Poggio, ma col tempo ho capito che la strada giusta era un’altra. E voglio percorrerla fino in fondo».

Dove vorresti che ti portasse?

«A Parigi. O magari a Los Angeles, dove si terranno le Olimpiadi del 2028: avrei ventott’anni, sarei ancora in tempo. Il mio obiettivo è quello di entrare nel quartetto, perfettamente consapevole del fatto che sarà molto dura. In passato ho già ricoperto il ruolo di primo uomo, colui che lancia l’inseguimento dai blocchi e che ha il compito di dare il ritmo. Ed è lì che Villa, analizzando i dati, ha capito che potrei cavarmela bene anche nel chilometro da fermo, una specialità che mi piace».

Appunto, in quali altri esercizi vorresti misurarti?

«Nel chilometro da fermo, come dicevo, perché lanciando il quartetto dalla prima posizione riesco a lavorare molto sulla potenza, una qualità imprescindibile. E poi magari nell’omnium. Non è facile pensare anche alla velocità per chi, come me, è già parecchio preso sull’endurance, però vedremo il futuro cosa mi riserva».

E’ stato difficile integrarsi nel gruppo azzurro della pista?

«Non direi, e questo per merito di chi già ne faceva parte. Sono arrivato in nazionale nel 2019, alla prima stagione tra gli Under 23. E’ lo stesso anno in cui iniziai a conoscere meglio Viviani. Per il palmarès che ha è fin troppo disponibile: ascolta i più giovani, li segue, dà loro tanti consigli. Cosa gli invidio? Troppo facile: le due medaglie olimpiche, l’oro di Rio e il bronzo di Tokyo. Vale lo stesso per Ganna, è un campione ma non te lo fa pesare. L’armonia è uno dei motivi per cui l’Italpista sta raccogliendo così tanti risultati».

Momento più bello e più brutto della tua carriera?

«Limitandomi al recente passato, mi vengono in mente gli europei di Anadia dello scorso anno riservati agli Under 23. Prima vinsi l’eliminazione, poi trionfammo anche col quartetto e io ero al settimo cielo. Ma purtroppo, nell’omnium, caddi e fui costretto a ritirarmi. Non mi ruppi niente, mi andò relativamente bene, ma ci puntavo parecchio e la delusione fu grossa».

Ti avanza del tempo per pensare a qualcosa che non sia il ciclismo?

«Poco, a dire la verità. Quando posso esco con gli amici e sto insieme alla mia ragazza, con cui convivo. Ma per il resto sono quasi sempre via con la nazionale. Anche in questi giorni, ad esempio, sono in ritiro a Montichiari con Lamon, Scartezzini, Bertazzo, Viviani e Pinazzi perché domani all’ora di pranzo partiamo da Milano per la prova di Nations Cup del Cairo. E’ una vita un po’ così, me ne rendo conto, ma è quella che ho scelto».