Il Friuli scopre Skerl: «Sono un velocista e amo il Nord, ma mi sono appassionato grazie a Quintana»

Skerl
La vittoria di Daniel Skerl al GP De Nardi 2023 su Alberto Bruttomesso (foto: photors.it)
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Daniel Skerl, velocista atipico del Ctf-Victorious, si è appassionato al ciclismo grazie ad uno scalatore purissimo, Nairo Quintana. Era l’estate del 2013 quando la Movistar si rese conto d’avere tra le mani qualcosa in più di un semplice talento.

«Un giorno accesi la televisione e trovai il Tour de France. C’era questo ragazzo, piccolino e colombiano come mia mamma, che in salita staccava tutti. Oddio, non proprio tutti, visto che poi alla fine arrivò primo Froome. Ma nella ventesima tappa, l’ultima d’alta montagna, Quintana si levò di ruota anche lui e finalmente vinse la sua frazione. La mia passione è nata in quei giorni. L’anno successivo cominciai a correre, andavo già alle medie».

Avevi provato altri sport?

«Per qualche anno ho giocato a calcio. Seguii la massa, tra i bambini era il più popolare e quindi mi adattai senza farmi troppi problemi né domande. Ero un portiere, nemmeno malvagio. Il ruolo mi piaceva perché mi faceva sentire importante e più riconoscibile rispetto agli altri. Mi ha certamente aiutato il non aver paura nel tuffarmi ed eventualmente nel farmi male».

Segui ancora il calcio?

«No, mi limito ad europei e mondiali perché sono eventi che riguardano tutti. La mia altra grande passione è il motorsport: dalla MotoGP alla Formula 1 passando per le gare di endurance. Insomma, non riesco a farne a meno, finché posso cerco di non perdermene una. Un amore che mi ha trasmesso mio padre, siamo andati insieme a tantissime fiere del settore. Un modello in particolare? Lewis Hamilton, per la classe e la longevità».

E ciclisticamente parlando, invece, a chi ti rifai?

«In termini assoluti non ho un idolo vero e proprio. Rispetto tutti e ognuno mi fa curiosità a modo suo. Credo che il bello del ciclismo sia anche questo, un gruppo numeroso dove s’incrociano le storie più assurde e diverse. La fatica, più o meno, è la stessa per tutti e ognuno sa fare qualcosa meglio degli altri, che si parli di capitani o di gregari».

Nemmeno un velocista che osservi con particolare attenzione?

«Anche se non posso considerarli dei riferimenti veri e propri, mi vengono in mente Groenewegen e Jakobsen: degli sprinter veri, puri, potenti. Io tra i dilettanti riesco a superare qualche salita, è vero, ma in linea di massima devo ancora migliorare parecchio. Per entrare nel professionismo è lunga, bisogna che cresca in montagna e che aumenti il fondo».

Da questo punto di vista la collaborazione tra Cycling Team Friuli e Bahrain-Victorious vi viene incontro.

«L’opportunità c’è ed è ghiotta, sta a noi corridori cercare di metterci in mostra e capitalizzare. Per me entrare a far parte del Cycling Team Friuli è sempre stato un sogno e un obiettivo, l’ho sempre visto come il riferimento regionale della categoria. Per un friulano come me non potrebbe essere altrimenti. Il compagno con cui vado più d’accordo è Olivo, ci conosciamo da tanto tempo, ma è proprio l’ambiente a farmi stare bene e a lasciarmi tranquillo».

La tua seconda stagione tra gli Under 23 è cominciata bene: ottavo a Misano e primo al De Nardi, domenica, davanti al tuo compagno Bruttomesso.

«Finalmente mi sono sbloccato, ormai non vincevo una gara da quattro anni. Dovevo tirare la volata ad Alberto e quindi a trecento metri dall’arrivo sono partito. Ma evidentemente stavo talmente bene che a pochi metri dalla linea bianca ero ancora in testa e nessuno mi aveva avvicinato. Rialzarsi non era più un’opzione, dunque ho proseguito e ho vinto. Non sarà stato il mondiale, ma fa morale».

Quali obiettivi ti sei posto per quest’anno?

«Non guardo mai il nome delle gare, mi impegno sempre al massimo per cercare la vittoria, che sia in prima persona o aiutando un compagno di squadra. La mia gara preferita in assoluto, tuttavia, è la Milano-Sanremo, che solitamente si corre nei giorni del mio compleanno, il 21 marzo. Eppure, ironia della sorte, l’edizione che mi è rimasta più impressa è quella del 2020, quella estiva, vinta da Van Aert. Anche se il finale più incredibile lo regalarono Kwiatkowski, Sagan e Alaphilippe qualche anno prima. Chi vince quest’anno? Van Aert e Van der Poel sono nomi sempre buoni, ma occhio a De Lie».

Quando hai scoperto d’essere un velocista?

«Non c’è stato un momento preciso, è sempre stato così. Diciamo che il mio fisico mi aveva già dato più di un’indicazione: essendo alto 1,76 e pesando 77 chili non potevo essere molto altro. Ma devo dire d’esser fortunato, perché sono quello che mi piace. Per me l’adrenalina degli sprint è tutto, il momento più bello di una corsa. Quando mi butto in volata non penso più a nulla e il mal di gambe, magicamente, scompare».

Ti piacerebbe avere un ultimo uomo?

«Che discorsi, certo che sarebbe importante avere un compagno di squadra abile e scafato che ti guida nel finale. Però siamo tra gli Under 23 e bisogna sapersi muovere anche senza, non sempre si può essere così attrezzati. Autonomamente me la cavo bene e non ho paura di lanciare volate lunghe».

Il 26 marzo c’è la Gand-Wevelgem e l’Italia di Amadori parteciperà. Ci hai fatto un pensierino?

«Le classiche del Nord sono le mie corse preferite, ma non ho mai pedalato sul pavé, quindi più che altro la mia è una sensazione. No, sinceramente alla Gand non ci ho pensato nemmeno per un secondo, vado di gara in gara. Sulle pietre potrebbero aiutarmi le mie discrete doti di guida, affinate dai primi tempi trascorsi in sella alla mountain bike. Mi rendo conto di guidare meglio di tanti altri, in gruppo e in discesa. Per non cadere è fondamentale non avere paura, altrimenti se ce l’hai e sei insicuro è come se tu fossi già caduto».

Non avevi paura di tuffarti quand’eri portiere e non ce l’hai adesso che sei velocista.

«No, ho rispetto del pericolo e dell’incolumità altrui, ma paura no, mai. Certo, a volte può capitare di cadere e di farsi male, ma per non è mai stato un problema. Appena posso mi ributto in volata e la paura passa, senza troppi discorsi».Il Friuli scopre Skerl: «Sono un velocista e amo il Nord, ma mi sono appassionato grazie a Quintana»