Simone Piccolo è l’uomo di fiducia di Provini: «Insegno ai più giovani e inseguo il professionismo»

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Simone Piccolo, 26 anni compiuti il 20 ottobre, ha deciso di appendere la bici al chiodo. Correva nella Gallina Ecotek Lucchini di Cesare Turchetti
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Era agosto quando Simone Piccolo ricevette una chiamata da Matteo Provini. L’offerta era interessante: trasferirsi alla Petroli Firenze-Hopplà-Don Camillo, secondo le classifiche di merito la sesta squadra dilettantistica d’Italia, la prima delle non continental. Ma c’era anche dell’altro: la proposta di un ruolo delicato, che lo avrebbe coinvolto oltre il semplice calendario degli allenamenti e delle gare.

«Prima Provini e poi Lastrucci, il titolare della Hopplà, mi hanno fatto capire che cercavano un uomo d’esperienza che portasse risultati e che, allo stesso tempo, fungesse da riferimento per tutti gli altri corridori. Di più, mi hanno addirittura chiesto alcuni consigli sugli atleti da ingaggiare, ascoltando quello che avevo da dire a riguardo. Ho compiuto 25 anni il 20 ottobre e la prossima stagione sarà la mia ultima nella categoria, visto che i regolamenti non mi permettono di proseguire: sono contento di affrontarla con uno spirito rinnovato e con alcuni compiti così prestigiosi».

Simone, conosci bene Matteo Provini avendo già corso per lui in passato. Che rapporto avete?

«Adesso buono, altrimenti non mi avrebbe ricercato. Ma per capirci e accettarci abbiamo avuto bisogno di qualche stagione. Io Provini lo conobbi appena approdai tra gli Under 23 con la Viris nel 2016. Sapendo di essere abbastanza talentuoso mi sarebbe piaciuto mettermi subito in mostra, ma non avevo fatto i conti né col salto di categoria né col modo di lavorare di Provini».

Spiegati meglio.

«E’ severo, esige serietà e professionalità, vuole essere rispettato e crede nel valore delle gerarchie. Quindi un primo anno, a meno che non sia un fuoriclasse acclarato, non può presentarsi nelle sue squadre ed alzare la voce. Anche perché gli organici che lui allestisce sono sempre ottimi, quindi gli ultimi arrivati in ogni occasione trovano qualche capitano per cui lavorare. Ecco, per capire tutto questo ho impiegato un bel po’».

Poi vi siete ritrovati nel 2019 alla Casillo: eri al quarto anno e rimane la tua miglior stagione nella categoria.

«Non a caso, credo. Sì, ci siamo riconciliati allora. Io ero maturato, ma devo dire che trovai un Provini che a sua volta, col tempo, era riuscito a farsi un’idea più precisa e corretta del corridore e del ragazzo che sono. Conoscendolo bene, adesso uno dei miei compiti è quello di mediare tra lui e i volti nuovi della squadra, specialmente i più giovani. Una sorta di cuscinetto, mettiamola così».

Matteo Provini al Giro d’Italia Under 23 2022

Ma avrai anche tu delle ambizioni.

«Certo. Se un corridore col mio potenziale è ancora tra gli Under 23 e gli elite, vuol dire che qualcosa non ha funzionato. Gli infortuni e gli acciacchi non sono mancati, purtroppo, e ho militato in formazioni non sempre eccellenti. Nel 2019 vinsi due gare, piazzandomi in continuazione: all’Edil C, ad esempio, mi batté soltanto Aleotti, che poi in estate chiuse secondo all’Avenir. Era il mio momento, ma nel 2020 scoppiò la pandemia e non riuscii a confermarmi».

Quindi il professionismo non l’hai ancora accantonato.

«Assolutamente no. Continuo a sperare che la mia età non venga interpretata come un limite, anche se ci credo poco. Eppure sarei pronto: ho vinto e ho perso, ho fatto il capitano e il gregario, ormai so cosa significa fare la vita del corridore. Quanti talenti, invece, si perdono per strada non appena prendono la prima batosta? E ancora, quanti giovani non sanno allenarsi quando rimangono un mese da soli a casa lontano dalle competizioni?».

Hai già avuto modo di conoscere i tuoi nuovi compagni di squadra?

«Alcuni, come Fiaschi e Baroni, già li conoscevo. Altri, penso specialmente ai toscani, solo come avversari. Ma abbiamo già creato una bella atmosfera, siamo stati insieme la scorsa settimana e siamo di nuovo insieme adesso. Per il momento non si pedala come forsennati, ma è proprio in periodi del genere che si corre il rischio di perdere di vista l’obiettivo: è dura andare a letto presto, alzarsi presto e stare attenti a tavola quando le gare non sono dietro l’angolo. Ci vuole maturità».

Provini sostiene che Nencini possa diventare qualcuno, a patto di cambiare qualcosa. Sei d’accordo?

«Sì. Tommaso ha talento e dei mezzi fisici notevoli, e ormai anche una certa esperienza, ma deve limitare la sua esuberanza una volta sceso di sella. Io, che sono più tranquillo e metodico di lui, cercherò di aiutarlo finché posso perché merita una chance nella massima categoria. E poi voglio nominare Baroni: scalatore e non passista veloce come Nencini, ma ugualmente valido. Tuttavia, anche lui deve crescere nella gestione quotidiana del mestiere».

Un grupetto di elite niente male: tu, Acco, Nencini, Gomez.

«Dovremo essere d’esempio per i più giovani e assicurare fin da subito alla squadra e agli sponsor un capitale di vittorie. Abbiamo il compito di portare serenità: se inizeremo la stagione come si deve, il resto verrà di conseguenza. Non dobbiamo commettere l’errore di iniziare a carburare in estate: per allora dovremo essere già una macchina ben rodata, che si conosce e le cui parti vanno d’accordo».

E tu come ti descriveresti?

«Sono un uomo da classiche, rapido e scattante, per niente adatto alle salite lunghe. Nel 2023 mi piacerebbe vincere il Città di Brescia, una delle poche internazionali riservate agli elite. Come modelli ho avuto prima Bettini e poi Pozzato: del toscano ricordo nitidamente i due mondiali e la sicurezza con cui li ha corsi e vinti, al veneto invece invidio la Milano-Sanremo, la mia corsa preferita».

Qualcuno, come Pedersen, la reputa una corsa noiosa.

«Da vedere, forse. Da correre, al contrario, mi pare unica ed emozionante. E’ la gara più lunga della stagione, probabilmente una delle pochissime in cui nella prima parte si può davvero scambiare due parole senza temere niente. Si pedala a due passi dal mare e gli ultimi cinquanta chilometri sono imprevedibili. No, non credo proprio che da correre sia noiosa. Va saputa apprezzare nella sua particolarità».

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Andrea Piccolo in una foto d’archivio al campionato italiano 2022

Tuo fratello minore, Andrea, sta finalmente emergendo tra i professionisti dopo un percorso travagliato.

«Fino a qualche anno fa ero io a consigliare lui, adesso la situazione si è quasi ribaltata. Cosa volete che vi dica? E’ un talento nato e del campione ha anche il piglio: ambizioso, determinato, consapevole dei propri mezzi. Quando stava bene, nelle categorie giovanili i suoi coetanei dicevano: oggi si corre per il secondo posto. E spesso era davvero così. Secondo me avrebbe dovuto aspettare un altro anno prima di firmare per l’Astana, però decise così».

Si è rilanciato nel 2021 facendo un passo indietro: tornando per qualche mese tra gli Under 23, alla Viris, in cui militavi anche tu.

«Feci da tramite tra mio fratello e la squadra. Per me era l’ideale, almeno avrebbe ripreso confidenza con le gare e con la vittoria. Uno come lui non deve mai perdere il feeling col successo. E’ stato umile nel capire la situazione e nell’accettarla. Ha pensato in prospettiva. Il suo profilo è perfetto per le corse a tappe: va bene in salita, è forte sul passo, recupera in fretta. E poi, a differenza mia, non calcola: se sta bene attacca, non si nasconde. Uran gli sta facendo da chioccia, dategli tempo ed emergerà».