Garzi ha un solo rimpianto: «Vorrei aver incontrato prima Balducci e la Mastromarco»

Garzi
Fabio Garzi sul Fauniera al Giro d'Italia U23
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Degli aggettivi che Fabio Garzi elenca per descriversi, “timido” è soltanto il quarto. Prima vengono “tranquillo”, “disponibile”, addirittura “solare”. Stranamente, visto che risponde con poche parole e soltanto se incalzato. Questa sua sinteticità, tuttavia, non inficia il contenuto delle sue risposte: insomma, Garzi parla il giusto e l’onesto, ma non al vento.

«Sì, è vero, se proprio devo essere onesto sono anche timido. Ma soltanto all’inizio, la prima volta, con chi non conosco e con chi non mi conosce».

Intorno a Domodossola, dove vive, la natura e gli spazi per godersi la solitudine non gli mancano: corre e cammina in montagna, a volte anche per sei o sette ore, e appena può aiuta la nonna con le capre e i pony. E’ quello che gli piace di più. Al di fuori del ciclismo, ovviamente.

«Vivere in un contesto del genere mi ha aiutato a superare dignitosamente quello che io considero il periodo più difficile della mia vita. Nel 2019, al primo anno tra gli Under 23, ebbi dei grossi problemi al tendine del ginocchio. Rimasi fermo per cinque o sei mesi. Tornai a pedalare una prima volta, ma il dolore si riacutizzò subito. Corsi poco o nulla, purtroppo».

E quella fu soltanto la prima stagione storta. Nel 2020 fu la pandemia a scompaginare i suoi piani di rinascita. Partecipò al Giro del Friuli, poco altro. I risultati hanno cominciato ad arrivare nel 2021: ottavo al De Gasperi, quarto al Giro del Piave, tredicesimo al campionato italiano e nella generale del Giro del Veneto, sesto al Memorial Claudia e al Chianti, terzo al Cuoio, decimo all’Emilia.

Balducci
Gabriele Balducci alla partenza della terza tappa del Giro della Valle D’Aosta

«Alla fine della passata stagione Balducci della Mastromarco mi ha cercato proprio per questo: regolare, costante, generoso. Non mollo mai, lascio sulla strada tutto quello che ho. Mio zio conosce bene Gabriele e quindi siamo entrati in contatto così. Se ho qualche rimpianto? Non ripensando alle gare: non ho buttato via delle vittorie. Diciamo che mi è dispiaciuto correre così poco tra il 2019 e il 2020. E vorrei aver incontrato prima Balducci: per la passione e la competenza che ha, forse adesso avrei qualche successo in più e sarei più vicino al professionismo».

E invece, essendo nato il 22 gennaio del 2000, dal prossimo anno Garzi entrerà a far parte degli elite. Dato che la Mastromarco continuerà a puntare esclusivamente sugli Under 23, ha dovuto cambiare squadra. Si è riavvicinato a casa accettando l’offerta dell’Aries Cycling Team, giovane realtà novarese che nel 2023 si misurerà anche all’estero.

«Per quanto mi riguarda, l’obiettivo non può che essere centrare il primo successo nella categoria. Togliermi questo dente è quello che voglio. Correremo anche tra Francia e Spagna, il livello del calendario sarà alto, ma personalmente sono sereno. Anzi, incentivato a mettermi in mostra. Sono curioso di vedere come corrono all’estero. Impaurito? No, per niente».

Di certo ci sarà da stringere i denti ed eventualmente da andare all’attacco, fosse soltanto per mettersi in mostra. Ma da questo punto di vista Garzi non ha problemi, visto che corre abitualmente in questo modo già nelle gare del calendario italiano.

«Mi viene naturale provare ad andare in fuga. Mi piace l’idea di farmi inseguire, di essere il primo a passare sul percorso di gara, di provare a mettere nel sacco il gruppo. E’ così che ho imparato cosa vuol fare il corridore, imparando a conoscere me stesso».

Aveva cominciato con la mountain bike, Garzi, per un semplice motivo: in paese c’era soltanto quella squadra, nessuna alternativa. Va ancora per i boschi, specialmente tra l’autunno e l’inverno, e certamente il mezzo lo guida bene. Ma non era la sua naturale destinazione.

«Alla strada ci sono arrivato quand’ero alle medie, dovevo avere 12 anni. All’inizio ho avuto bisogno di prenderci le misure, ma niente di drammatico: le gare e il ritmo non hanno niente a che vedere con le categorie superiori. Correvo per divertimi, perché mi piaceva pedalare. Soltanto tra gli juniores il ciclismo sarebbe diventato un lavoro. All’epoca stravedevo per la Lampre: Cunego su tutti, ma ricordo la contentezza per il Fiandre di Ballan e per il podio di Bruseghin al Giro. Ché poi le sue caratteristiche sono le mie: passista-scalatore, 1,83 per 70 chili (lo stesso peso di Bruseghin, che era un centimetro più basso, ndr), praticamente fermo in volata. Infatti mi piacerebbe migliorare nelle cronometro, ne ho fatte pochissime ma credo d’esserci portato. Sul passo mi trovo bene, infatti la mia corsa preferita è la Parigi-Roubaix. E alla fine della fiera vado all’attacco proprio per questo motivo: perché non ho alternative, allo sprint perdo, mi rimane soltanto arrivare da solo. Ma quant’è dura…».