Iacomoni, presentati: «Vado all’attacco ispirandomi a Sagan e a Nibali»

Federico Iacomoni esulta sul traguardo del GP Somma 2022 (foto: Rime Carnovali Sias)
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Peter Sagan che attacca sull’ultimo strappo, si lancia in picchiata in discesa e si presenta in solitudine sul traguardo iridato di Richmond, laureandosi per la prima volta campione del mondo: ecco qual è il primo ricordo di Federico Iacomoni, velocista atipico della Rime Carnovali Sias che proprio nel finale di stagione ha centrato le sue prime affermazioni tra gli Under 23.

«Era il 2015, avevo poco più di tredici anni – ricorda adesso – Che personaggio, Sagan: ha classe, certo, ma io lo ammiro maggiormente per il piglio. Rimarrà nella storia più di altri corridori che hanno vinto e vinceranno più di lui. L’altro riferimento è Nibali: perché italiano, perché ha fatto sognare un paio di generazioni di suoi giovani connazionali, perché in alcuni frangenti ha saputo caricarsi sulle spalle il destino di un intero movimento ciclistico».

Però, finché si parla di caratteristiche, assomigli più a Sagan.

«Se così si può dire… Comunque sì, ho un ottimo spunto veloce ma so anche mettermi in proprio. Le salite lunghe non sono il mio pane, mentre mi trovo a mio agio sui percorsi mossi. A patto, tuttavia, di poter impostare una corsa all’attacco: quando rimango passivo, solitamente mi tocca accontentarmi».

Ti riferisci a qualche gara in particolare?

«Se devo essere sincero, non ho molti rimpianti per questi primi due anni tra i dilettanti. Però, ad esempio, al Liberazione di alcuni mesi fa stavo benissimo e se avessi osato di più probabilmente avrei raccolto qualcosa in più del settimo posto. Che rimane un buon risultato, certo, ma non quello che sentivo di poter ottenere».

Prima del piazzamento al Liberazione era arrivato il nono posto nella Milano-Busseto. Poi, di nuovo settimo al Marmo.

«Mi ero già fatto vedere l’anno scorso: decimo alla Piccola-Sanremo, nono a Ovada, terzo al Casentino e alla Bolghera. Il Giro, purtroppo, non è andato come speravo, ma contavo di sfruttare in estate il colpo di pedale che mi aveva dato. E invece, proprio il giorno dopo averlo portato a termine, sono rimasto vittima di un incidente terribile».

Cos’è successo?

«Ero in allenamento con mio padre, la persona a cui devo la grande passione che mi anima. Pedalavamo in un tratto di discesa, la strada era stretta. Imposto una curva a sinistra, cieca, e mi schianto a velocità sostenuta con una macchina inspiegabilmente ferma. Sono svenuto sul colpo».

Prognosi?

«Sette punti sul sopracciglio, dieci sul ginocchio. Fortunatamente mi sono lacerato soltanto la pelle. Sono dovuto rimanere immobile a letto per ventitré giorni, altrimenti la ferita si sarebbe riaperta. Mi dico che poteva andare peggio, anche se riprendersi è stata dura. Quel che prima mi veniva facile, direi naturale, improvvisamente era diventato complicato».

Ti è restato addosso qualche trauma?

«No, non ho paura della strada, se è questo che vuoi sapere. Ma di certo ho capito quanto importante sia stare attenti anche in allenamento, un aspetto che troppo spesso diamo per scontato. Ho provato a mettermi nei panni degli automobilisti: spesso sono sbadati, sono diversi dai noi ciclisti per sensibilità e tempi di reazione e purtroppo chi non pedala non può capire le nostre esigenze».

Sei rientrato a correre dopo oltre tre mesi, alla fine di settembre.

«Era inevitabile, ma il mio finale di stagione è stato buono. A Somma ho vinto attaccando a più riprese sotto ad una fitta pioggia: è stato bello, mi sono piaciuto, per essere la mia prima vittoria tra i dilettanti non posso proprio lamentarmi. Nove giorni più tardi mi sono ripetuto all’Autunno: non me l’aspettavo, ma il livello complessivo della gara era più basso».

Federico Iacomoni in azione con la maglia della Rime Carnovali Sias in questa stagione (foto: Rime Carnovali Sias)

Due arrivi solitari: attaccare ti piace e ti viene bene.

«L’ho detto, è il modo in cui voglio correre. E i miei direttori sportivi mi spronano, da questo punto di vista. Per caratteristiche e percorso, tra i professionisti mi piacerebbe misurarmi al Giro delle Fiandre. Tra gli Under 23, invece, scelgo il Liberazione: mio padre è romano, ogni volta che corro da quelle parti molti miei familiari vengono a vedermi».

Pensando ai professionisti, secondo te cosa ti manca per farne parte?

«Innanzitutto i risultati, due successi a fine stagione non bastano di certo ad attirare l’attenzione delle squadre della massima categoria. Per il resto, direi che devo fare esperienza e capire quali sono i miei limiti. Non mi pare di avere un difetto evidente che mi fa dire: se lo risolvo, allora ho la strada spianata. Diciamo che sono un buon dilettante, ma di certo non l’unico, e soltanto il tempo dirà fin dove posso arrivare».

C’è un sacrificio che ti pesa particolarmente?

«La dieta. Quest’anno, tra l’altro, prima dell’incidente ho anche attraversato un periodo complicato dal punto di vista alimentare, ma per il momento non voglio soffermarmici. Niente di grave, per fortuna. Sto lavorando affinché non risucceda».

Coi professionisti, peraltro, ci hai già corso nel 2021 all’Appennino e a Lugano. Che esperienze sono state?

«L’Appennino l’ho finito, il Gran Premio di Lugano no. Se devo essere sincero, non mi pare di avere imparato molto. Io sono dell’idea che correre coi professionisti ha un senso finché si riesce a reggere il loro ritmo. Partendo e ritirandosi dopo pochi chilometri, oppure rimanendo buona parte della giornata nel gruppetto, non credo si possa apprendere qualcosa. Io ero al primo anno, ancora molto giovane. Per quanto strano possa sembrare, secondo me in diverse circostanze è meglio correre da capitano una gara nazionale di buon livello riservata agli Under 23».

Militi in una continental, ma per il momento di gare all’estero non ne hai fatte. Accusi questa mancanza?

«Ci vorrebbe la controprova, dovrei partecipare a qualche corsa straniera e poi tirare le somme. La mia sensazione è che, per il corridore che sono, il calendario italiano continui ad andare più che bene. Finché si parla di classiche mi pare di buon livello, il problema si pone magari per le corse a tappe e per quegli scalatori che avrebbero bisogno di prove del genere per migliorare e cercare il risultato. Io, poi, mi fido ciecamente della mia squadra: non chiedo spiegazioni e non metto in discussione le loro scelte, se mi fanno partecipare a certe gare e non ad altre avranno i loro buoni motivi».

Pensi già al 2023?

«Sì, ma odio fare promesse e proclami, quindi tengo tutto per me. Sono un testardo e vado per la mia strada, nel bene e talvolta anche nel male. Lascerò parlare i risultati, difficilmente sbagliano. Ma non mi concedo vacanze: anzi, in questi giorni sto facendo il piastrellista. E’ un’occupazione momentanea, a breve tornerò a pedalare a tempo pieno. Avevo una mezza idea di iscrivermi a Scienze Motorie, ma non è il momento adatto: ora voglio concentrarmi sul ciclismo e non avere rimpianti».