Amadori, la stagione è finita: «Busatto è il corridore che mi ha stupito di più, Persico può fare meglio»

Amadori
Marino Amadori in una foto d'archivio ai mondiali di Wolllongong
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Marino Amadori non ha in programma vacanze, nonostante l’intensa stagione da cui è reduce. Si concederà soltanto un po’ di tranquillità, cercando di recuperare quella quotidianità che i tanti impegni e le numerose trasferte gli hanno impedito di portare avanti.

«E comunque con Amadio e Scirea abbiamo già cominciato a programmare la prossima annata. Tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio faremo uno stage di tre giorni: magari a Montichiari, se il velodromo sarà disponibile. E poi abbiamo già cominciato a mandare le prime richieste d’invito alle corse straniere a cui ci piacerebbe partecipare come nazionale italiana. Ci interessano in particolar modo le gare a tappe: il Giro di Bretagna e la Ronde de l’Isard, tanto per rendere l’idea».

Un segnale importante per tutto il movimento, Marino.

«Sia ben chiaro: io non voglio né rubare la scena né insegnare il mestiere a nessuno. La questione è molto semplice: più passano gli anni e più ci rendiamo conto che i nostri dilettanti, pur essendo talentuosi, fanno fatica a tenere il ritmo dei coetanei stranieri. E quindi, visto che le nostre continental non escono molto dall’Italia, proviamo a farlo noi con la nazionale. Ma è per il bene complessivo del movimento, mica per il mio personale».

Le formazioni italiane lamentano una scarsa collaborazione da parte degli organizzatori: la maggior parte delle richieste inviate vengono rifiutate.

«Ne sono consapevole, purtroppo. E infatti i direttori sportivi italiani hanno la mia massima solidarietà. Io continuo a credere che si potrebbe uscire più spesso dall’Italia, ma non mi sfuggono le difficoltà che ci sono. Nemmeno noi, in qualità di nazionale, abbiamo la certezza di venir invitati. L’organizzatore di una prova straniera che si terrà ad aprile, ad esempio, mi ha già chiesto di fargli sapere quali corridori convocherò in caso dovessi partecipare alla loro gara: ma come faccio a saperlo adesso?».

E ormai hanno preso piede le development, una versione aggiornata e ancora più potente delle continental.

«Anche per questo le nostre squadre rimangono fuori. Una decina d’inviti vengono destinati quasi di diritto ai vivai, contro i quali noi adesso non possiamo competere. Quindi, per strappare un invito, dobbiamo lottare contro le continental straniere: che rimangono comunque di altissimo livello. Senza dimenticare i budget e le strutture: una squadra di sviluppo può attingere a delle risorse impensabili per una squadra dilettantistica italiana».

Qualcosa si sta muovendo col Cycling Team Friuli, satellite della Bahrain-Victorious, e con la Qhubeka, che potrebbe tornare ad essere il vivaio della Professional di Ryder, nella quale è coinvolto anche Nibali.

«Me lo auguro. So per certo che la Bahrain vuole che i ragazzi della development facciano esperienze internazionali di prestigio: non nell’Europa dell’est, tanto per essere chiari, ma tra Francia, Belgio e Olanda. Laggiù s’impara a correre, è quella l’università del ciclismo: gli strappi, il pavé, i ventagli. Ai nostri ragazzi mancano esperienze del genere, non c’è da stupirsi se tanti di loro decidono di emigrare».

Che idea ti sei fatto a riguardo?

«Piaccia o meno, direi che è inevitabile. I corridori vanno a cercare all’estero quello che purtroppo, tranne qualche eccezione, non trovano in Italia. Da un certo punto di vista è un bene: affronteranno i migliori Under 23 al mondo e potranno prendere le misure con quello che, eventualmente, li attenderà un domani. Dall’altra parte, tuttavia, la loro partenza deve farci riflettere: non stiamo dando loro quello di cui hanno bisogno, si stanno rendendo sempre più conto che conviene perdere in un contesto internazionale piuttosto che vincere in uno nazionale, se non regionale».

Busatto
Francesco Busatto della General Store-Essegibi-F.lli Curia al Giro d’Italia Giovani U23.

Busatto è uno di questi: lascia la General Store per il vivaio della Intermarché. La sua esclusione dal mondiale di Wollongong ha fatto discutere.

«Sarò sincero, non credo che convocare un corridore al posto di un altro ci avrebbe permesso di vincere il mondiale. Ma per quanto mi riguarda, e non ho problemi a dirlo, Busatto è l’assoluta rivelazione di quest’anno. Mi ha colpito per costanza e serietà, si è comportato bene ogni volta che ha corso: sia tra i dilettanti che tra i professionisti, visto che ieri ha fatto settimo alla Veneto Classic. Si vede che fa la vita del corridore con passione e metodo. Davvero una bella scoperta».

Che giudizio dai alla stagione azzurra?

«Positivo finché si parla di Avenir ed europeo, negativo se ripenso ai Giochi del Mediterraneo e ai mondiali. Nei primi ci siamo fatti tagliare fuori da un ventaglio aperto dai francesi, in Australia invece abbiamo fornito una prova insufficiente. E mi ci metto in mezzo anche io: evidentemente non sono stato bravo a compattare il gruppo e a far passare certi concetti d’importanza cruciale per raccogliere risultati importanti in appuntamenti del genere. Non è facile mettere insieme dei ragazzi che si conoscono poco e non hanno mai vestito la stessa maglia».

C’è, invece, un corridore dal quale ti aspettavi di più?

«Direi Persico della Colpack. Ha delle qualità importanti che possono permettergli d’imporsi anche in un contesto internazionale, secondo me sarà lui il primo a non essere soddisfatto soprattutto della seconda parte della stagione. Ho visto che ieri è arrivato secondo alle spalle di Epis: a proposito, un altro bel corridorino che dal prossimo anno passerà alla Zalf, ma adesso deve dimostrare di cavarsela bene non soltanto nelle prove del calendario italiano».

Alcuni dei migliori talenti azzurri passeranno professionisti: quali ti piacerebbe continuare a coinvolgere?

«Milesi, Germani, Buratti. Ovviamente se da parte loro ci sarà la disponibilità, si capisce. Se devo essere sincero, io non sono mai stato d’accordo nel coinvolgere atleti del World Tour. Condividevo la regola che era in vigore fino a qualche anno fa: chi faceva un’attività di un certo livello non poteva, poi, tornare tra gli Under 23. La prova offerta da Fedorov a Wollongong è stata emblematica: negli ultimi cinquanta chilometri saltava sulle ruote di tutti, ma era reduce dalla Vuelta».

Milesi
Lorenzo Milesi in una foto d’archivio al Giro della Valle d’Aosta

E allora perché hai provato, e proverai ancora, a coinvolgere dei professionisti?

«Perché dobbiamo adattarci, che ci piaccia o meno. Altrimenti a rimetterci saranno soprattutto i nostri corridori, e di conseguenza il movimento italiano. Comportarsi diversamente vorrebbe dire combattere coi mulini a vento: fare gli orgogliosi a chi gioverebbe? Il precedente delle continental, quando abbiamo continuato a fare di testa nostra nonostante il panorama intorno a noi stesse cambiando, non mi pare che abbia remato in nostro favore, no?».

Marino, ma è ancora possibile vincere un mondiale con un dilettante reduce da un percorso più tradizionale?

«Io non ho mai creduto che il talento fosse una prerogativa delle continental e delle development. Anzi, certe esperienze internazionali con la nazionale mi piacerebbe farle fare proprio a quei corridori che non corrono nelle continental e che hanno, quindi, pochissime possibilità di affrontare i migliori coetanei d’Europa. Prendete Baroncini: è vero, ha corso in due squadre importanti come Beltrami e Colpack, ma è cresciuto in maniera graduale senza forzare le tappe togliendosi prima qualche soddisfazione in Italia e poi imponendosi all’estero. Mi hanno garantito che il prossimo anno il Giro d’Italia si farà: ecco, intanto questo è un buon punto di partenza».