È come se stessimo sognando: ogni giorno Filippo Ganna ci porta un po’ più in là. Se una settimana fa siamo andati sulla luna con lui, mentre allungava a dismisura quello che un essere umano può fare in un’ora, venerdì sera a Saint-Quentin-en-Yvelines, pista dei prossimi Giochi Olimpici, ci ha dato un passaggio fino a Marte. Umano, troppo umano, Pippo ha confessato che al mattino non voleva neanche partire, aveva voglia di andare in vacanza, si sentiva di colpo troppo stanco. Ha postato una foto in cui dimostrava a Marco Villa, alla lavagna, che tutti i grafici e le frecce puntavano verso il basso, verso l’off-season come la chiama lui. E il mago della pista si teneva la testa fra le mani, scherzando o magari no. Sono stati i suoi amici-fratelli di pista a convincerlo a tenere duro ancora un po’. «Hanno spinto forte sull’unica crepa che mi lasciava indeciso, scrivere un altro pezzettino di storia».
Dobbiamo ringraziarli, altrimenti ci saremmo persi un momento che non dimenticheremo mai: due giganti italiani (il riferimento, credete, non è soltanto alle loro dimensioni fisiche) che si sfidano nella finale mondiale dell’Inseguimento individuale, che poi è il duello per eccellenza, non l’hanno capito soltanto quei geniacci che hanno eliminato questa prova dalle specialità olimpiche. Una volta, non tanto tempo fa, abbiamo chiesto a Marco Villa, il mago della pista, se questa cosa lo fa arrabbiare: ci hanno tolto una medaglia sicura, un oro probabile, anzi più che probabile. E lui ha risposto con un mezzo sorriso e una specie di battuta. «Com’era quella pubblicità? Ti piace vincere facile?».
Si vede che di facile non dev’esserci niente. Non è facile, per esempio, scendere in pista contro un ragazzo che hai cresciuto nella tua ombra lunga e ingombrante, uno a cui hai dato consigli fino a poche ore prima dell’ultima sfida. Insieme nel quartetto d’oro a Tokyo, insieme l’altra sera nell’ennesimo stupendo quartetto che ha conquistato l’argento mondiale. Ma l’ultima volta che due italiani hanno fatto primo e secondo nell’Inseguimento individuale eravamo appena entrati nel dopoguerra. Era il 1947: e loro erano Fausto Coppi e Toni Bevilacqua, primo Coppi, secondo Bevilacqua. Ancora a Parigi, al Parco dei Principi. Adesso, e in futuro, abbiamo Filippo Ganna e Jonathan Milan.
«Ci siamo detti: gara vera fino alla fine, vince il migliore», ha raccontato Ganna, E così è stato. Johnny, come lo chiama Pippo, ha provato il brivido di stare davanti all’uomo più veloce del mondo, non si era mai vista una partenza così: un primo giro da 20″9 e un primo chilometro da 66″12. Però era la sera in cui Ganna avrebbe buttato giù a pedalate il muro dei 4 minuti nei 4.000 metri dell’Inseguimento individuale su pista, e la foga di Milan ha dovuto piegarsi alla storia. Filippo lo ha preso ai 2.500 metri, e poi ha cominciato a volare: ha corso a oltre 60 all’ora di media, partendo da fermo, con una bici pesantissima da avviare. È il più forte del mondo in uno sforzo concentrato, meno di 4 minuti, e il migliore del mondo in una prestazione-monstre come l’ora. «È come se uno corresse i cinquemila metri a piedi e la maratona a distanza di sei giorni», ha spiegato il mago Villa per essere chiaro.
Alla fine, Filippo era felice come raramente lo abbiamo visto. E Milan era giustamente deluso: non arriverai mai da nessuna parte, se non sei deluso dopo una sconfitta, e Milan invece arriverà lontano. «Adesso andremo a berci qualche birretta insieme», ha tagliato corto Ganna. Non è che si smette di essere fratelli se uno dei due è andato più forte dell’altro. D’accordo, era una finale mondiale. Ma questo fa parte del gioco quando sei un fuoriclasse. Già Ashton Lambie era sceso sotto i 4 minuti, ma era un test ed era in altura. Il 3’59″636 di Ganna ha tutto un altro valore, tutto un altro sapore: niente asterischi, come piace piace a lui.
Criticatissimo perché al Tour de France si è spremuto per i suoi compagni della Ineos, perdendo un po’ di smalto a cronometro e dovendo rimandare il sogno di indossare la maglia gialla, Filippo in tutta la stagione su strada (diecimila chilometri in tutto, provate a pensarci) ha faticato a trovare la migliore versione di se stesso. Mondiale compreso. Ma questi sette giorni – dai 56,792 chilometri in un’ora sulla pista svizzera di Grenchen ai 4 km dell’Inseguimento individuale in meno di 4 minuti – sono stati la sublimazione del Ganna superman. Il Ganna al tempo stesso umanissimo che al mattina pensa di fare il trolley e di andarsene in vacanza, il Ganna improvvisamente troppo stanco per provarci. A chi non è mai capitato di pensare: adesso basta, spengo, chiudo, voglio soltanto dormire. Ma c’erano i suoi fratelli di pista, quelli che erano andati a Grenchen a organizzare la curva, quelli con i quali Pippo divide gioie e dolori. Lo hanno convinto, e lui è sceso in pista. «Ho ascoltato un po’ di musica pesante, quella che mi prepara Thomas». Il suo amico dj, uno della sua cerchia, quasi una famiglia. Caricato dalla musica pesante di Thomas, Pippo è sceso in pista. Con le gambe, con la sua forza sovrumana. Ma soprattutto con la testa e il cuore, che gli danno una marcia in più. Era già buio da un pezzo, ma le campane di Vignone hanno suonato a festa. Adesso sì che si può andare in vacanza. Non prima di aver dato un’ultima occhiata al velodromo che gli ha riservato una standing ovation per il record dell’ora, e che ieri lo ha spinto a quest’ultimo record. «Non pensavo a quello, volevo solo diventare campione del mondo». Un’ultima occhiata, in realtà un arrivederci: fra meno di due anni qui ci si giocheranno le medaglie olimpiche. «Spero di tornare».












