Giro della Lunigiana, un passaporto per il grande ciclismo. Nel 2018 lo show marziano di Evenepoel

Evenepoel
Remco Evenepoel in azione durante l'8ª tappa del Giro d'Italia 2021.
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«Io sono fatto così. Quando sono in fuga penso solo ad andare più forte possibile: mi dico spingi, spingi, gli altri molleranno». Parole di Remco Evenepoel, ma non arrivano dalla Vuelta, nella quale il fenomeno belga sta corendo da leader. Si tratta invece di una dichiarazione di quattro anni fa, settembre 2018. Remco aveva appena dominato il Giro della Lunigiana, severo esame per i migliori Juniores in campo internazionale, la cui 46ª edizione parte oggi dalla baia di Portofino.

Ci sono corse che confermano i campioni, altre destinate a rivelarne in anticipo la caratura. Il Giro della Lunigiana è divenuto nel tempo ciò che il Tour de l’Avenir ha sempre rappresentato per dilettanti e Under 23: un osservatorio per giovani talenti. Nel suo albo d’oro ci sono sei corridori che negli anni successivi hanno vinto il Giro d’Italia: Chioccioli, Simoni, Di Luca, Cunego, Nibali e Geoghegan Hart. Due hanno anche assaporato la gloria del Tour: ancora Nibali e Pogaçar, primo in Lunigiana nel 2016. E poi, altri professionisti di alto bordo, come Bortolami, Guerini, Zanini, Bettiol e Mohoric.

Nata italiana nel 1975, la corsa si è presto aperta al mondo. Nel 1980 calarono in Lunigiana i temuti sovietici, tanto forti da lasciare al resto del gruppo solo la prima tappa (vinse Pagnin). Il podio finale fu tutto rosso: primo Demidenko, secondo Tchougeda (che avrebbe vinto l’anno dopo), terzo Voronin. All’epoca, gli atleti Urss non potevano ambire al professionismo, ma Viktor Demidenko ne avrebbe avuto lo spessore: nel 1986 lo dimostrò vincendo una tappa alla Vuelta, che in quella edizione aveva aperto le porte alle rappresentative sovietica e polacca.

Vacek lo stuzzicò: «Remco? Il vero scalatore sono io»

Evenepoel, dicevamo: quando si presentò al Giro della Lunigiana aveva smesso solo da un anno e mezzo di fare il calciatore, ma era già campione europeo Juniores in carica, sia in linea che a cronometro (e sarebbe diventato mondiale di lì a poco). Ciò che fece in quei giorni fu quasi disarmante. Nella prima tappa, verso Lerici, riuscirono a seguirlo solo in quattro. Lui non chiese cambi e non ne ebbe neanche uno. Non ci fu nemmeno volata, perché nessuno fu in grado di uscire dalla scia. L’indomani vinse da solo, rafforzando la leadership.

Fra i pochi che non si arresero alla tirannide del belga c’era il ceco Karel Vacek, che correva in Italia con il Team Giorgi. Arrivò il tappone che terminava a Casette di Massa, in cima a una salita ripidissima. Vacek partì nel tratto più duro, Remco rimase ancorato a un rapporto troppo duro e perse per la prima volta terreno. «Ha detto che nella prima tappa aveva vinto da scalatore – disse Vacek al traguardo – Oggi si è visto chi tra me e lui sia il vero scalatore».

La classifica non era in pericolo, perché Vacek aveva perso tempo il primo giorno per una caduta, ma l’onore sì: nell’ultima tappa, su una pendenza più adatta alla sua cilindrata, Evenepoel scattò di rabbia e fece immediatamente il vuoto. Gli rimanevano 65 chilometri, che bevve in solitudine spingendo come un dannato, fino al traguardo.

Piccolo, l’ennesima scoperta: ora sotto a chi tocca

Oggi Evenepoel lotta per vincere la Vuelta; a Vacek finora è andata un po’ peggio: è arrivato al World Tour, con il Team Qhubeka, poi ha dovuto ripiegare quest’anno sull’austriaca Tirol KTM, squadra Continental. Nel frattempo il Giro della Lunigiana ha contribuito a lanciare Andrea Piccolo, vincitore nel 2019 e appena approdato nella EF Education, che vuol dire ciclismo di vertice.

E oggi si riparte, con una ragionevole certezza: il ragazzo che il 4 settembre salirà in cima al podio finale avrà fatto un passo verso il grande ciclismo.