Bitossi, gli 82 anni di un vincente, malgrado il “cuore matto” e la beffa di Gap

Bitossi
Franco Bitossi in una foto d'archivio
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In alcune foto appare seduto ai bordi della strada, con una mano sul petto. Lui, Franco Bitossi, detto “Cuore matto”, aveva questo problema: sul più bello di una corsa gli capitava di doversi fermare per improvvise tachicardie, smaltite lentamente mentre gli avversari divenivano irraggiungibili.

Una cosa strana, probabilmente di origine nervosa, che lo ha penalizzato nei primi anni di carriera, spingendolo ai limiti del ritiro precoce. Poi si è dileguata, tanto da permettergli di correre fino a 38 anni e vincere circa 170 corse, nell’epoca di Merckx, Gimondi e De Vlaeminck. Quanto alle foto: «Via, le facevo per i fotografi – disse una volta in una lunga intervista a BicisportGli facevano comodo, le vendevano. Quegli attacchi mi prendevano sul serio, ma quasi sempre lontano dai fotografi».

Franco Bitossi: ha vinto 21 tappe al Giro d’Italia e due Giri di Lombardia

Toscano di Camaioni, Bitossi compie oggi 82 anni. Dopo la bici ha avuto una vita tranquilla da coltivatore di ulivi nella sua tenuta di Capraia e Limite, a due passi da Empoli. Un “esilio” che non gli preclude un posto nella storia del ciclismo italiano, garantito da ventuno tappe al Giro d’Italia, quattro al Tour, due Giri di Lombardia e tre campionati italiani.

Classiche straniere no, perché in quegli anni gli italiani all’estero correvano poco, e l’appeal di una Coppa Agostoni o di un Giro di Toscana non era di molto inferiore a quello di un Fiandre o di una Liegi. E poi erano gli assi stranieri a venire in Italia. Merckx, tanto per dire: «Mi chiedeva sempre perché in Italia parlassero tutti di Gimondi e mai del sottoscritto – disse una volta Bitossi – E le stesse cose le diceva Anquetil, quasi che avessero più paura di me che di Felice».

Il suo dramma ai mondiali del 1972 impressionò l’Italia

In realtà, di Bitossi in Italia si parlò a lungo, ma fu per via di una sorta di psicodramma ciclistico. Per ricordarlo basta un monosillabo: Gap. Fu lì, ai mondiali del 1972, che Franco passò dall’estasi all’inferno in pochi secondi. Il vialone finale era lunghissimo e in leggera salita, impietosamente ripreso dalla telecamera fissa posta sul traguardo. Si vide a sinistra la figura esile di Bitossi, che aveva preso il largo nel finale; a destra la torma scatenata degli inseguitori. Franco si voltò e si ritrovò a pedalare sulle sabbie mobili, smanettando sul cambio: il tredici, troppo duro; il quindici, troppo leggero, poi il sedici. E quelli sempre più vicini, fino a che a pochi passi dal traguardo vide un’ombra azzurra superarlo sulla sinistra. Fu così che Marino Basso diventò campione del mondo.

La storia azzurra di Bitossi però non finì a Gap. Quattro anni dopo si sentiva in condizione stellare, era convinto di poter vincere, ma Alfredo Martini lo lasciò fuori dalla spedizione per Ostuni, dove Moser fu battuto allo sprint da Maertens. «Aveva ragione lui – ammise anni dopo il ct – Dovevo capire che era il più in forma di tutti. Oggi sono sicuro che quel mondiale lo avrebbe vinto».

Classe infinita, a 37 anni fu bronzo a San Cristobal

L’anno dopo, a San Cristobal (Venezuela), il trentasettenne Bitossi era della partita. Ancora Martini: «Ero in ammiraglia e a un certo punto mi si avvicina Franco: “Alfredo”, mi dice, “stai tranquillo, li abbiamo in pugno. Conoscendolo, mi tranquillizzai davvero. In corsa era lucidissimo, aveva sempre ragione lui». Finì con Moser campione del mondo e Bitossi medaglia di bronzo.

La maglia iridata gli è sfuggita, ma con quella tricolore aveva un feeling speciale. La conquistò tre volte, l’ultima delle quali a quasi 36 anni, nel 1976, battendo in volata il giovane Moser in un giorno di burrasca. Senza contare due titoli italiani vinti nel ciclocross. E come se non bastasse, tanti anni dopo è divenuto di nuovo campione nazionale, stavolta nelle bocce Over 60. Una vita da vincente a largo spettro, la sua, malgrado il perfido fantasma di Gap.