Alla scoperta di De Carlo: «Faccio la vita del corridore soltanto da due anni e mezzo»

Grazie al terzo posto sul Monte Pora, Giovanni De Carlo si è laureato campione lombardo tra gli Under 23. (Foto: Rodella)
Tempo di lettura: 5 minuti

Pur avendo il nonno nella società ciclistica del paese (Orsago, in provincia di Treviso) e un padre che lo portava regolarmente a seguire le gare dei dintorni, Giovanni De Carlo ha iniziato a correre piuttosto tardi: con gli esordienti, quindi tra i 13 e i 14 anni.

«La mia storia è particolare – racconta – Non soltanto ho cominciato in ritardo rispetto ai miei coetanei: si può dire addirittura che io faccio il corridore da due anni e mezzo, mica di più. Sono rimasto tre anni, e non due, tra gli juniores, quindi ho finito le superiori senza essere ancora passato tra gli Under 23. La mia prima stagione tra i dilettanti è stata nel 2020, quella della pandemia».

Prima di arrivare al ciclismo ti sei dedicato ad altri sport?

«Ho giocato a calcio per diverso tempo: sei o sette anni, mi pare. Non chiedermi perché: tutti i miei amici ci giocavano e io mi sono trovato nel mezzo senza nemmeno farmi tante domande. Giocavo esterno, anche se a quell’età i ruoli non sono particolarmente definiti. Da quando ho smesso non lo seguo quasi per niente. Mi ha fatto capire cosa vuol dire far parte di una squadra».

E al ciclismo come sei arrivato?

«Col tempo. E’ sempre stata una passione di famiglia e di corse dalle mie parti ce ne sono parecchie. L’aspetto bizzarro della faccenda è che io mi sono innamorato di questo sport non passando i pomeriggi alla televisione, ma andando sulla strada a veder passare gli juniores e i dilettanti. Giusto per essere chiaro, se dovessi dirti il nome di un corridore che all’epoca sentivo nominare spesso allora andrei su Federico Zurlo, non uno di quei campioni che vinceva la Roubaix o il Tour».

Quindi non avevi un corridore preferito?

«No. Tuttora stimo tutti perché anche il gregario meno appariscente è comunque riuscito a realizzare quello che per me, ad ora, è soltanto un sogno. Certo, ammiro Evenepoel per il modo in cui corre e per quello che riesce a fare nonostante abbia la mia età, ma chi non rimane impressionato da uno come lui?».

Non hai nemmeno una corsa dei sogni?

«Stesso discorso di prima: quelle delle mie zone, che sento nominare da anni e che hanno scritto la storia del ciclismo giovanile italiano e internazionale. Il Trittico Veneto per gli juniores, una bella corsa che oggi non esiste più, e il Piva e il Belvedere tra gli Under 23».

Allora sarai soddisfatto dei risultati raccolti quest’anno: 12° a San Vendemiano, 9° al Piva, 15° al Belvedere.

«Devo dire di sì, la primavera è stato un ottimo periodo per me. Ero motivato, volevo mettermi in mostra e non sprecare l’occasione: d’altronde sono le corse che meglio si adattano alle mie caratteristiche ed essendo io del 2000 non avrò più l’opportunità di farle, visto che dal prossimo anno diventerò un elite».

Hai detto di aver cominciato tardi a fare la vita del corridore, praticamente da quando sei arrivato tra gli Under 23. Hai qualche rimpianto?

«Ogni mese che passa sento d’essere un corridore migliore e non sono minimamente stressato né consumato, tanto mentalmente quanto fisicamente. Quella di prendere il ciclismo con leggerezza fino al passaggi tra i dilettanti è stata una scelta mia: ho dato la precedenza alla scuola e mi piaceva l’idea che la bicicletta fosse soltanto una valvola di sfogo e una scusa per passare del tempo in più coi miei amici e divertirmi insieme a loro. Tuttavia, oggi ho altre ambizioni e devo dire che se avessi cominciato a fare sul serio anche soltanto un anno prima sarebbe stato meglio».

Compirai 22 anni il 30 dicembre: ti senti vecchio?

«Come dicevo, essendomela presa comoda mi sento fresco come una rosa, però capisco il senso della tua domanda: se penso ad Evenepoel che vince per la seconda volta San Sebastian a 22 anni e mezzo, allora sì che mi sento vecchio. Non voglio insegnare il mestiere a nessuno, ma mi sembra chiaro che puntare su talenti giovanissimi paga di tanto in tanto e soltanto se si ha la pazienza di aspettarli».

Spiegati meglio.

«Capisco che siano le vittorie ad attirare l’attenzione e a far emergere certe attitudini, infatti io e tutti i miei colleghi ci alleniamo per vincere, ma non possono diventare l’unico criterio adottato dalle squadre professionistiche. Se un ragazzino fisicamente dotato si allena il doppio o il triplo dei suoi coetanei, è chiaro che a 17 anni vince una domenica sì e una no. Ma come affronterà i vari passaggi di categoria? Avrà ancora dei margini per adattarsi al ritmo che via via aumenta?».

Tu ti senti pronto per passare nella massima categoria?

«Credo di dover migliorare tatticamente, specialmente nella gestione dei finali di gara, e ovviamente anche da un punto di vista atletico qualcosa mi manca. Ma complessivamente non mi sento così lontano dal meritare una chance coi professionisti, alla fine piazzandomi con costanza nelle classiche internazionali ho dimostrato d’aver raggiunto un ottimo livello. Per questo voglio ringraziare anche la Rime-Carnovali-Sias, la squadra di cui faccio parte da quest’anno: accettare l’addio di Mario Chiesa all’inizio della stagione non è stato semplice, ma l’ambiente è splendido e non potrei desiderare di più».

E’ giusto considerarti un passista-scalatore?

«Assolutamente sì, è quello che sono. Pur essendo alto 1,88 e pesando 66,5 chili, preferisco i percorsi mossi delle corse di un giorno piuttosto che quelli d’alta montagna che si possono trovare nelle gare a tappe. Diciamo che una salita lunga non più di sette chilometri la digerisco bene, non a caso domenica sono arrivato terzo sul Monte Pora diventando campione lombardo tra gli Under 23. Sulle ascese lunghe, invece, continuo a soffrire».

E’ per questo che al Giro d’Italia non sei riuscito a metterti in mostra?

«Ad essere sincero non abbiamo ancora capito cosa sia andato storto in quei giorni. Non ero io, punto e basta. Mi sentivo stanco, debole, senza energie, come se stessi covando qualcosa, come se non mi fossi preparato a dovere. Peccato, ero reduce dall’importante convocazione in nazionale per la Corsa della Pace e sinceramente pensavo di disputare un bel Giro».

Con ambizioni di classifica?

«Probabilmente no, anche se comunque tenere duro giorno dopo giorno è un esercizio che mi piace e nel quale vorrei migliorare. Magari avrei puntato ad una vittoria di tappa. E’ stato un grosso dispiacere, mi consola soltanto pensare che si è trattato dell’unico passaggio a vuoto della stagione».

Quali sono i tuoi prossimi obiettivi?

«Capodarco, una corsa prestigiosa e adatta alle mie caratteristiche. E poi magari la laurea entro la fine dell’anno: studio Ingegneria Informatica a Trento, mi mancano un esame e poi la tesi. E infine un buon proposito: farsi meno domande e attaccare di più, quando l’ho fatto è andata sempre bene e sinceramente non voglio più avere rimpianti del genere»