Dice Davide De Pretto che all’europeo è stata anche una questione di fortuna: ad un certo punto aveva attaccato anche Busatto, ad esempio, ma a lui è andata male, non era quella l’azione giusta. Che è nata, invece, ad una trentina di chilometri dall’arrivo, nel corso del penultimo giro, sul tratto di salita più esigente. L’ha promossa Engelhardt, già sesto al Giro d’Italia, seguito da Fetter. De Pretto e Vacek sono rientrati un attimo più tardi.
E poi cos’è successo, Davide?
«Abbiamo fatto subito il vuoto, guadagnando un minuto. La prima parte di gara era stata controllata perlopiù dall’Olanda, diciamo che poi si sono mosse quelle squadre che non avevano un velocista puro per giocarsi la vittoria nel finale. Il nostro uomo in caso di arrivo in volata sarebbe stato Parisini, che alla fine ha fatto comunque sesto».
Il percorso si adattava bene alle tue caratteristiche, visto che sei scattante e allo stesso tempo abbastanza rapido.
«Direi proprio di sì. Sull’ultimo strappo, a qualche chilometro dal traguardo, io e Vacek avevamo guadagnato cinquanta metri sugli altri due, ma poi ci siamo guardati troppo e li abbiamo fatti rientrare. In volata ho fatto quello che potevo, considerando che avevo anche i crampi».
Peccato. Hai rintracciato la causa?
«Probabilmente ho bevuto troppo poco. Intendiamoci, il terzo posto mi soddisfa perché non pensavo di valere così tanto, mi sarei accontentato di entrare nei primi dieci. Ma allo stesso tempo ho qualche rammarico, se non avessi avuto intoppi mi sarei potuto giocare l’oro, ne sono sicuro».
Quest’anno hai finalmente iniziato a raccogliere quei risultati che in molti si aspettavano da te: sesto al Piva, quarto al Belvedere, tredicesimo al Recioto, ottavo al Liberazione e al campionato italiano, secondo al Medio Brenta.
«Io della Beltrami posso solo parlare bene, ma alla Zalf ho trovato una mentalità più forte, più competitiva, più vincente. Io sono arrivato soltanto quest’anno, ma mi sembra d’essere qui da una vita. Vivo a Piovene Rocchette, il paese di Zana, e quasi sempre mi alleno in compagnia dei miei compagni: Raccani, Cattelan, Faresin, Guerra, Bruttomesso, Zurlo. C’è amicizia, compattezza, unione d’intenti: siamo proprio un bel gruppo».
C’è un piazzamento che ti ha dato particolare fiducia nei tuoi mezzi?
«All’inizio della stagione ho vinto anche un paio di corse, ma ad essere onesti non si misura un corridore in quelle giornate lì. I due piazzamenti al Piva e al Belvedere mi hanno fatto capire che sui percorsi mossi posso giocarmela quasi con tutti. Mi è dispiaciuto ritirarmi dal San Vendemiano, ma avevo problemi intestinali. E all’italiano è stato bravo Germani a muoversi al momento giusto, dietro ci siamo guardati e non se n’è fatto niente».
Forse ti aspettavi di più dal Giro? Non sei andato oltre il sesto posto nella tappa di Pinzolo.
«Mi sarebbe piaciuto vincere una tappa, non lo nego, ma scendendo dal ritiro ho quasi rischiato d’ammalarmi e quindi al Giro non ho mai trovato il colpo di pedale che desideravo. La forma migliore è arrivata con qualche settimana di ritardo sulla tabella di marcia. Che all’europeo potevo raccogliere un bel risultato, per dire, me n’ero già reso conto dopo il secondo posto al Medio Brenta».
E gli appuntamenti con la nazionale non sono certo finiti: ci sono ancora almeno l’Avenir e il mondiale.
«Se potessi scegliere, il mondiale è proprio la corsa che sogno di vincere. Il percorso sembra molto simile a quello dell’europeo, dunque mi auguro di star sufficientemente bene per meritare la convocazione. Per quanto riguarda l’Avenir non so ancora niente, credo che Amadori decida tutto dopo il Valle d’Aosta».
Al quale la Zalf non partecipa. De Pretto, dove correrai prossimamente?
«Sicuramente a Poggiana, un appuntamento prestigioso: correrò per vincere. E poi vedremo: se non dovessi partecipare al Tour de l’Avenir, allora metterei nel mirino anche Capodarco. Le mie corse sono queste, quelle vallonate e nervose. Non a caso, se penso alle gare dei professionisti, mi viene in mente il Fiandre. L’ho fatto da juniores e mi è piaciuto molto».
Eri considerato un grande talento anche nel ciclocross. Che ne è stato della doppia attività?
«Ho deciso di puntare sulla strada, al massimo nel ciclocross potrei fare qualche sporadica apparizione invernale. Ho reputato giusto scegliere, non è semplice portare avanti il doppio impegno in maniera dignitosa. Col rischio poi di scontentare entrambe le squadre, visto che ognuna vorrebbe averti in esclusiva».
C’è un corridore nel quale ti rivedi?
«Troppo facile dire Van der Poel e Van Aert, coi quali nel mio piccolo condivido una parte del percorso. E allora dico Michael Matthews, al quale credo di assomigliare parecchio. Certo che arrivare al suo livello sarebbe magnifico: ha vinto molto meno di quello che avrebbe meritato soltanto perché, in diverse occasioni, sulla sua strada ha trovato campioni come Van Aert e Sagan nelle loro giornate migliori».